La principessa Brambilla
La principessa Brambilla - di E.T.A. Hoffmann
1) Siamo a Roma, tra fine Settecento e i primi dell'Ottocento, durante il carnevale. Giacinta Soardi sta finendo di cucire un abito bellissimo che però non è per lei, perché lei è una giovane sarta e fare abiti per altri è il suo mestiere. Il suo datore di lavoro, il sarto mastro Bescapé, le ha commissionato quel vestito stupendo destinato a una principessa o a una gran dama, un abito rosso di seta pesante decorato con gemme e pietre preziose. Giacinta è triste perché lei invece per il carnevale dovrà accontentarsi del costume dell'anno prima e non potrà mai permettersi un vestito bello e regale come quello che sta cucendo, anche perché il suo fidanzato, Giglio Fava, è un attore da quattro soldi che non naviga certo nell'oro e non può offrirle più di tanto. La vecchia Beatrice, la sua governante, cerca di tirarla su di morale ricordandole quant'è giovane e graziosa, ma con scarso successo. Giacinta, presa dallo sconforto, si punge un dito con l'ago e delle gocce di sangue cadono sul vestito. Presa dal panico, Beatrice controlla da vicino l'abito con una lampada e finisce con lo schizzarci su anche dell'olio. Ma osservando per bene, alla luce, il vestito appare privo di macchie e Giacinta non resiste alla tentazione, così si prova il vestito e scopre che le sta alla perfezione come se fosse stato cucito su misura per lei. Arriva Giglio, e resta ammutolito davanti alla bellezza di Giacinta. Intanto lo conosciamo come attore scadente ma molto presuntuoso e vanesio. Lui è un “primo amoroso”, recita cioè le parti del giovane protagonista, eroe di tante tragedie manierate e patetiche alla moda, tutte scritte dall'Abate Chiari, maestro in quest'arte. Indossa abiti da principe, che in realtà sono costumi di scena, stinti e malandati, però lui si sente affascinante e splendente quasi fossero vere vesti regali. Nel vedere Giacinta abbigliata come una principessa, Giglio erompe in un lungo monologo di lodi (perché lui non riesce a smettere di recitare, neppure nella vita di tutti i giorni) che ha il solo risultato di far infuriare la ragazza: dunque lui la ammira solo per i bei vestiti e non per lei stessa? Il giovane cerca di discolparsi. Il motivo per cui è tanto stupito nel vederla così abbigliata è che proprio quella notte lui ha fatto uno strano sogno in cui, tra varie maschere della commedia dell'arte quali Pulcinella e Truffaldino, gli compariva una bellissima principessa che portava un abito identico a quello. Giacinta s'infuria ulteriormente: e così lui osa sognare altre donne? Giglio supplica e si prostra e alla fine riesce a farsi perdonare, ma poi la sua boria ha il sopravvento. Può ben capire, dice, che Giacinta sia tanto gelosa, dal momento che un attore come lui è una vera tentazione per ogni fanciulla di Roma, le donne, sostiene Giglio, gli cascano ai piedi a frotte e perfino una principessa orientale di recente ha perso la testa per lui. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, Giacinta, decisamente furibonda, lo manda via in malo modo dicendogli di andarsene dalla sua principessa, e anche Beatrice non può far altro che consigliargli di non farsi vedere per un po', perlomeno fino a che a Giacinta non sarà passato il malumore (e qui c'è un discorso sulle “smorfie”, i capricci e i bronci stizzosi di tante giovani fanciulle italiane che risultano estremamente affascinanti per certi uomini e assolutamente incomprensibili per altri, specie se stranieri).
Giglio si allontana con la coda tra le gambe, ma l'autore ci avverte di essere comprensivi con lui: se è d'animo tanto esaltato è perché proprio quel giorno gli è capitata un'avventura straordinaria e perciò anche adesso non può smettere di sognare a occhi aperti. Era in via Condotti ad ascoltare il celebre ciarlatano signor Celionati, che vendeva le sue solite pozioni miracolose, quando era arrivato un portentoso corteo che aveva lasciato gli astanti a bocca aperta. In questo corteo c'era di tutto: unicorni, musici, paggi con corpetti di piume, dame velate che facevano il tombolo in groppa a muli bianchi come la neve, struzzi che trainavano un tulipano d'oro al centro del quale sedeva un venerabile vecchio dalla lunga barba bianca che leggeva da un gran libro, e più di tutti una carrozza tutta di specchi, in cima alla quale sedeva un delizioso, piccolo Pulcinella, e bastava guardarla perché la gente, vedendosi riflessa in quella carrozza, pensasse di esservi seduta dentro e cominciasse a darsi arie da re o da regina. Il corteo si era diretto verso Piazza Navona, poi era entrato e sparito all'interno di Palazzo Pistoia. A quel punto Celionati aveva cercato di spiegare al buon popolo cos'era quella cosa fantastica che aveva appena visto. Si trattava nientemeno che del corteo della bellissima principessa orientale Brambilla, che era ospite con tutto il suo seguito del principe Bastianello da Pistoia, proprietario del palazzo e noto al pubblico romano per le sue frequenti facezie e per la sua saggezza magica. Brambilla, continua Celionati, è a Roma per ritrovare il suo fidanzato, il principe assiro Cornelio Chiapperi. Cornelio era andato a Roma per farsi cavare un dente proprio da Celionati ma una volta nell'Urbe aveva perso sé stesso facendo smarrire le proprie tracce. Per questo la principessa Brambilla offriva una lauta ricompensa a chiunque sapesse fornirle indizi per ritrovare l'amato bene. Detto questo, il buon ciarlatano aveva preso a vendere riproduzioni del dente estirpato al principe nonché occhiali speciali per riuscire a riconoscerlo tra la folla. Una volta allontanata la gente, Celionati aveva avvicinato Giglio, comprendendo che il giovane era rimasto particolarmente turbato dalla visione del corteo, e soprattutto dal pensiero della bellissima Brambilla, e gli aveva offerto gli occhiali speciali, grazie ai quali l'attore era stato in grado di lanciare un'occhiata all'interno di Palazzo Pistoia. Era chiaro che ormai il ragazzo non desiderava altro che incontrare la principessa Brambilla, e per farlo Celionati gli aveva consigliato di presentarsi l'indomani sul Corso con indosso l'abito più stravagante che riuscisse a immaginare: solo così avrebbe potuto farsi riconoscere dalla principessa.
E l'indomani effettivamente Giglio si abbiglia da maschera ridicola e stravagante per prepararsi all'incontro con la principessa, ma la sua vanità ha il sopravvento: lui ha bellissime gambe e gli secca nasconderle sotto pantaloni sformati e brutti, così si veste da buffone solo fino alla cintola, poi mette pantaloni attillati e calze e scarpe che mettano in evidenza i suoi bei polpacci, quindi se ne va sul Corso pronto alla sua conquista. O almeno così crede.
Tra la folla in costume da carnevale del Corso, Giglio corre su e giù alla ricerca di Brambilla, quando incontra una curiosa maschera, a metà tra Pantalone e Pulcinella, che lo riconosce come il principe Cornelio Chiapperi. Costui lo abbraccia festosamente e gli offre un sorso di cordiale preso da una piccola damigiana che porta al fianco. Come fa per aprire la bottiglia, da questa si sprigiona un vapore rosso che assume le sembianze eteree della bellissima Brambilla. Ma quando Giglio, preso da rapimento amoroso, le chiede di comparirgli in carne e ossa affinché lui possa abbracciarla, una voce lo insulta e gli dà dell'impostore, perché con quei calzoni e quelle calze da vanesio non può certo essere il vero Cornelio.
Giglio però non riesce a capire chi l'abbia insultato, perché questo si è già dileguato tra la folla e anche Pantalone e la sua damigiana sono stati inghiottiti dalla confusione.
2) A questo punto l'autore comincia a scusarsi col lettore se la sua storia fin qui può sembrare folle e priva di costrutto, però rammenta che ci sono momenti in cui i sogni e le visioni possono avere un tale potere nella nostra vita da farci dimenticare tutto, perfino le più banali regole della buona educazione. E questo sta succedendo adesso a Giglio: lui è così rapito dalla visione della principessa Brambilla che il cercarla e il sognarla è più importante delle necessità della vita reale. Al punto che anche quando è in scena spesso dimentica la sua parte e invece dei panegirici che dovrebbe declamare si infervora in descrizioni della sua amata, tanto che alla fine l'impresario del teatro dove lavora si stufa e lo licenzia su due piedi. Dapprima Giglio non se ne cura, ma pochi giorni dopo, quando si trova affamato e senza più un soldo, le necessità della vita reale cominciano a prendere il sopravvento sulla sua visione eterea. Per prima cosa, se la prende con Celionati: è stato lui a ficcargli in testa l'idea che la principessa Brambilla potesse ricambiare il suo amore, perciò è tutta colpa sua.
Poi si ricorda di Giacinta, la sua dolce fidanzata che lui ha tanto ingiustamente abbandonato per inseguire un sogno. Preso da rimorso, si precipita da lei, ma a casa di Giacinta non c'è nessuno. Giglio piange e si dispera, e quando il signor Pasquale, padrone di casa di Giacinta, arriva a vedere cos'è capitato e gli dice che la ragazza non abita più lì, Giglio è preso da una furia cieca e aggredisce il signor Pasquale per farsi dire dov'è adesso Giacinta. Il signor Pasquale non glielo dice, ma chiama aiuto e un servitore arriva a gettare in strada il povero Giglio.
Il povero attore, senza più saper che fare, vaga per le vie e per forza d'abitudine si reca al Teatro Argentina, dove aveva lavorato fino a pochi giorni prima. Qui scopre che l'impresario ha abbandonato le tragedie alla moda, che non gli fruttavano più, ma ha preso a dare rappresentazioni comiche, molto più redditizie. Giglio s'illude che le tragedie non rendano più a causa della sua scomparsa dalle scene e l'impresario non nega, ma neanche conferma. Però gli regala un biglietto per la rappresentazione del giorno. Mentre attende che cominci, il ragazzo vaga tra il pubblico e origlia una conversazione tra due spettatori che parlano di lui. Uno lo denigra senza mezzi termini per la sua recitazione ridicola e ostentata, l'altro gli concede delle attenuanti. Ormai, dice, tutti sanno che Giglio è impazzito per amore della principessa Brambilla, ma Giglio non sa che lei non lo ha abbandonato e che, anzi, proprio ora gli ha infilato in tasca un borsellino pieno di ducati d'oro. I due spettatori scompaiono tra la folla e Giglio automaticamente si mette una mano in tasca, e vi trova un borsellino pieno di tintinnanti ducati d'oro. Si sente improvvisamente come un burattino manovrato da altri, da forze che non conosce, ma poi pensa che si tratti di un trucco di Celionati, che probabilmente si sente in colpa per avergli fatto perdere il lavoro. Contento per essere riuscito a riportare il tutto su un piano razionale, Giglio si appresta a seguire la pantomima comica, che altro non è che una delle solite avventure di Arlecchino e Colombina, che però si conclude con un corteo identico a quello visto in via Condotti. Turbato, Giglio si reca in un caffè per mangiare finalmente un piatto di maccheroni al dente e si accorge che sul borsellino c'è ricamata la frase “non dimenticare la tua immagine eterea”, quando incontra un Ballanzone che gli dà del traditore: è la vecchia Beatrice, in maschera, che gli racconta di come la povera Giacinta sia stata arrestata perché mastro Bescapé l'ha denunciata per aver macchiato di sangue il vestito che avrebbe dovuto cucire per la principessa Brambilla. È mezzanotte, ma Giglio non perde tempo e decide di correre da mastro Bescapé per pagare, coi ducati che ha in tasca, il vestito rovinato e liberare Giacinta. Però nella sua foga ha dimenticato di chiedere a Beatrice dove trovare Bescapé.
Lo cerca disperatamente per le vie di Roma, urlando come un forsennato, e lo trova, ma viene preso per matto dal sarto e sottoposto a salasso, finché non sviene. Nel deliquio sente la principessa Brambilla che gli parla con dolci parole. Il mattino dopo si risveglia in casa del sarto e chiede spiegazioni a Bescapé: perché ha fatto imprigionare Giacinta solo perché ha macchiato, anzi, santificato l'abito col suo sangue? Ma Bescapé è ignaro di tutto: non sa nulla di macchie, di prigioni, ancor di più, lui non ha mai commissionato a Giacinta un abito del genere! Evidentemente Beatrice l'ha solo preso in giro.
Giglio si allontana sempre più confuso. E incontra Celionati, che gli svela come lui quella notte abbia dormito sotto lo stesso tetto della sua amata. Giglio alza lo sguardo e vede Giacinta affacciarsi alla finestra di casa Bescapé. È ancora arrabbiata, e Giglio pensa che le passerà. Ma Celionati dice di no: così come lui è andato dietro alla principessa Brambilla, anche Giacinta ha un suo pretendente: un principe bello e imponente che le fa la corte.
Giglio sulle prime s'infuria, se ne va via di malumore, poi sul Corso incontra alcuni amici e prende a gozzovigliare con loro. Abbandonandosi alla baldoria decide di completare il suo costume carnevalesco, va a cambiarsi indossando un costume decisamente ridicolo, e torna sul Corso. Ma nei pressi di Palazzo Pistoia incontra Giacinta, o meglio, una deliziosa fanciulla abbigliata con lo splendido vestito rosso con cui aveva visto Giacinta. Cerca subito di fare il galletto (dimenticando l'abito ridicolo che porta) per attirare la sua attenzione, ma la donna lo tratta con disprezzo.
Giglio comincia seriamente a pensare d'esser pazzo. Però in quel momento giunge un corteo festante di gente in maschera e Giglio si unisce a loro, sperando di ritrovare la maschera con la damigiana che gli aveva fatto intravvedere la principessa Brambilla.
3) Ci troviamo al Caffè Greco e Celionati sta parlando con alcuni studenti tedeschi della differenza tra umorismo italiano, esagerato e roboante, e umorismo tedesco, molto più controllato e metaforico, ma alla fine il ciarlatano s'infuria reputando i giovani incapaci di riconoscere la verità. Lui stesso afferma di trovarsi in realtà altrove. Gli studenti, intuendo che sta per scapparci un racconto, lo incitano a continuare, e Celionati racconta la storia di Re Ofioch e della regina Liris così come l'ha sentita dal suo amico, il negromante Ruffiamonte.
Tanto tempo fa nel prospero regno di Urdar regnava il re Ofioch, che però era tanto malinconico e questa sua malinconia gravava su tutto il regno. Nessuno ne capiva niente, men che meno i ministri, che pensarono di curare il re dandogli una sposina buona, bella e allegra. La trovarono nella principessa Liris, figlia di un re vicino. La principessa Liris, al contrario del re Ofioch, era sempre allegra, ma d'una allegria fasulla di cui nessuno riusciva a capire la causa. Qualunque cosa capitasse, lei rideva sempre, come se non vedesse nulla di quel che le succedeva davanti agli occhi. Le nozze vennero celebrate, ma non portarono i miglioramenti sperati, il re era sempre più cupo e la regina non faceva che fare merletti al tombolo con le sue dame ridendo e irritando oltremodo il consorte. Un giorno, mentre era a caccia, re Ofioch per errore colpì con la sua freccia il mago Ermodio, che era in cima a un'alta torre nel fitto di un bosco e immerso in un sonno millenario. Il re pensò d'essere spacciato, ma invece Ermodio lo ringraziò per averlo destato dal lungo sonno. Disse che finalmente sarebbe tornato nell'Atlantide, ma che dopo tredici lune gli avrebbe lasciato un dono che avrebbe reso felice lui e la regina Liris: un cristallo. Perché il pensiero uccide l'intuizione, ma l'intuizione sarebbe tornata a splendere come figlia del pensiero. Re Ofioch però non ne trasse alcun giovamento e, più cupo e mesto che mai, fece iscrivere su una lapide la frase “il pensiero distrugge l'intuizione” e si mise a contemplarla meditandoci su notte e giorno. Un giorno la regina Liris capitò nella stanza dove re Ofioch meditava e, vista la lapide, smise di ridere e si sedette accanto a lui. Immediatamente i due regali consorti si addormentarono, ma il consiglio di stato riuscì a organizzare le cose in modo che nessuno si accorgesse che il monarca dormiva.
Tredici lune dopo, come aveva detto, il mago Ermodio tornò a Urdar con una stella scintillante che, fondendo gli spiriti elementali della terra, dell'aria, dell'acqua e del fuoco, trasformò in un meraviglioso specchio d'acqua. Il re e la regina si destarono, corsero alla fonte, vi si specchiarono e cominciarono a ridere. Non d'una risata vuota com'era stata quella di Liris, ma d'una risata schietta che è benessere interiore.
I due regali ammisero d'essersi persi in passato, ma ora si erano ritrovati. Tutti quelli che guardavano nella fonte se erano tristi e oppressi si rallegravano, se erano già allegri rimanevano uguali. L'acqua venne esaminata, me gli esperti dissero che era acqua normalissima senza alcuna proprietà, ma che poteva essere pericoloso vedersi specchiati a testa in giù perché poteva far perdere l'equilibrio. Alcuni esperti arrivarono addirittura a negare l'esistenza della fonte, ma re Ofioch e la regina Liris furono per sempre grati al mago Ermodio per quel dono.
Quando Celionati tace, gli studenti prendono quella storia per una favola, una metafora sul senso dell'umorismo, ma il ciarlatano s'offende affermando che è tutto vero, e che il vecchio nel tulipano alla parata altri non è che il mago Ermodio (ovvero Ruffiamonte) in persona.
Nel frattempo Giglio, che ha continuato a percorrere il Corso in cerca della principessa Brambilla, s'imbatte in due ballerini. Lui suona la chitarra e lei danza suonando le nacchere. Il ballerino è identico in tutto e per tutto a Giglio, qualcuno dice che la ballerina è la principessa Brambilla che danza col suo innamorato, il principe assiro Cornelio Chiapperi.
4) L'autore fa un elogio al sonno, ma soprattutto al sogno che allontana dai nostri petti gli affanni dell'opprimente realtà. Ed è solo così che può descrivere quel che prova Giglio allorché vede i due ballerini e scopre chi sono. E si ritrova come un famoso psicologo tedesco che, in stato d'ebrezza, ruzzola giù dalle scale e pensa che a cadere sia stato il suo segretario. Perciò Giglio pensa di essere il principe assiro Cornelio Chiapperi che suona la chitarra, e intanto fronteggia il suo Io. La principessa Brambilla è scomparsa, ma lui afferra la spada e colpisce la chitarra dell'altro. Nel capitombolo gli cadono gli occhiali, la gente lo riconosce ma lui scappa via e si ritrova davanti a Palazzo Pistoia. E qui incontra l'abate Chiari (che l'autore spaccia come un parente di quello vero, il drammaturgo nemico di Carlo Gozzi). Costui è un autore di tragedie (quelle solitamente recitate da Giglio) alla moda, affettate e pompose al punto d'essere involontariamente ridicole (cosa di cui lui, ovviamente, non è consapevole). L'abate si lamenta del fatto che l'impresario gli abbia preferito la commedia e la farsa, ma medita vendetta preparando un tregedione coi fiocchi: il Moro Bianco. Il protagonista ideale sarebbe proprio Giglio. Trascina perciò il ragazzo in casa propria per recitargliene i brani salienti, ma Giglio, che in passato si era esaltato per le opere di Chiari, improvvisamente se ne trova stufo e si addormenta. L'abate s'offende, ma poi ritiene che le mancanze di Giglio siano opera di un oscuro piano del principe Bastianello da Pistoia, uomo stravagante e portato alla burla, che per questo è sempre stato suo nemico. Tanto fa e tanto dice che riesce a convincere Giglio della bontà della sua tesi.
Il giovane, convinto d'aver ritrovato il senno, si mette in testa di studiarsi la parte per riavere il lavoro e ripresentarsi da Giacinta a testa alta. Il mattino seguente si veste al suo meglio e si reca da mastro Bescapé, dove aveva visto la fanciulla per l'ultima volta. Ma questo nega che la ragazza abbia mai alloggiato sotto il suo tetto. Perciò Giglio corre alla vecchia casa, e trova la vecchia Beatrice che ha appena fatto la spesa e vi si sta recando con sporte piene di provviste: sì, dice, Giacinta abita lì come sempre, anche se ancora per poco. Le due aspettano visite, ma Giglio può fermarsi per pranzo, a Giacinta farà piacere.
La sartina accoglie l'attore con un sorriso. Gli conferma che così come lui, da attore, è attraente per le fanciulle, così pure lei, da sartina, è allettante per i gentiluomini. E perciò ora c'è un gran principe che le fa la corte ed è intenzionato a sposarla, e che questo principe è prodigo nel farle doni (gli mostra un borsellino identico a quello che Giglio si era ritrovato in tasca, sempre pieno di ducati d'oro). Anche Giglio afferma di essere in procinto di sposare la principessa Brambilla, e perciò fra poco anche le sue fortune muteranno. I due chiacchierano affabilmente, senza provare rancore ma anzi, complimentandosi per le reciproche fortune. Giacinta afferma che l'ospite atteso era proprio Giglio, lui le racconta della nuova parte ottenuta nella tragedia dell'abate Chiari e i due pranzano insieme mangiando e bevendo allegramente, ricordando i bei tempi andati e sperando di buttarsi alle spalle le miserie patite. I due sperano di trovarsi in regni vicini, ma quello del principe di Giacinta è dalle parti di Bergamo e quello della principessa di Giglio è nelle vicinanze della Persia. Giglio e Giacinta decidono di spostare i rispettivi, futuri regni in zona Frascati, quindi si separano da buoni amici.
5) Giglio è ormai convinto d'aver riacquistato tutto il suo intelletto e pensa di saper bene quale sia la verità: ovvero che la bella principessa Brambilla sia innamorata di lui e voglia sposarlo, ma che il perfido Celionati si sia fatto beffe di lui scombinandogli i piani. Ma ora lui ha ritrovato il buonsenso, e sta anche per essere protagonista dell'ultima tragedia dell'abate Chiari. É evidente, pensa, che la principessa l'ha visto recitare e s'è invaghita di lui. Adesso spetta a lui la prossima mossa, andare da lei. Ma intende andarci in modo dignitoso, con un abito che si confaccia al suo rango di futuro principe. E perciò si reca da mastro Bescapé a reclamare l'abito più lussuoso che abbia.
All'inizio Bescapé non vuole vendergli l'abito, sostenendo che è stato fatto espressamente per il principe Cornelio Chiapperi, ma quando Giglio afferma d'essere lui quel principe, e a conferma di ciò gli sventola sotto il naso il borsellino carico di ducati, Bescapé non può più tirarsi indietro e gli cede l'abito, che è veramente sontuoso, carico com'èdi fronzoli e piume.
Giglio indossa il vestito e senza ulteriori indugi va a Palazzo Pistoia, i cui portoni magicamente si spalancano davanti a lui.
Al Palazzo non c'è nessuno ad accoglierlo e Giglio vaga per un po', finché non giunge in una grande sala dove il venerabile vecchio nel tulipano d'oro sta leggendo una storia per le dame che lavorano al tombolo. E lì si ferma ad ascoltare.
La storia è il seguito di quella del re Ofioch e della regina Liris. Quattro vecchi saggi andarono alla torre del mago Ermodio per risolvere un nuovo problema, perché un giorno il re si era alzato e aveva detto “Il momento in cui un uomo cade è quello in cui il suo vero Io s'innalza”, e lì era caduto ed era morto. E la regina Liris con lui. E i due erano morti senza dare discendenza, anche se il consiglio di stato era riuscito a far muovere i due monarchi come marionette in modo che nessuno si accorgesse che erano morti. La cosa grave era che ora la fonte di Urdar non rendeva più felici le persone, ma le faceva diventare irose. E un giorno, cosa anche più grave, il sostegno di re Ofioch si era rotto e tutti si erano accorti che lui era morto, perciò ora bisognava proprio trovare un successore. Il mago Ermodio aveva detto di attendere nove volte nove notti e dalla fonte sarebbe arrivata una nuova regina di Urdar. Loro attesero, e a quella data la fonte si prosciugò ma da lì nacque una deliziosa bimba, la principessa Mistilis. I saggi l'accudirono, ma quando fu in età da parlare lei cominciò a parlare una lingua sconosciuta. Disperati, i saggi tornarono da Ermodio che, furibondo, disse loro di cercare sotto una pietra nera nella camera dove dormirono gli augusti sposi, e che poi si sarebbe levato un uccello che avrebbe dovuto essere preso da reti tenui tessute da esili mani. I saggi accorsero nel luogo indicato, vi trovarono uno scrigno che consegnarono alla principessa Mistilis. Nello scrigno c'era l'occorrente per lavorare al tombolo, e la principessa cominciò subito a lavorarci, e per la prima volta disse frasi comprensibili. Ma subito dopo si irrigidì e cominciò a rimpicciolirsi fino a diventare una piccola bambola di porcellana. I ministri si disperarono, e tanto piansero che comparve il mago Ermodio. Costui spiegò che quello incontrato prima altri non era che il maligno, che aveva preso le sue sembianze e li aveva ingannati, me che con merletto tessuto da squisite mani femminili avrebbero davvero potuto catturare l'uccello variopinto sciogliendo l'incantesimo.
A questo punto il vecchio smette di leggere, ma le dame che stanno lavorando al tombolo si accorgono della presenza di Giglio. C'è un gran trambusto, ma alla fine un gran merletto viene gettato e Giglio, spaventato, viene catturato da quel merletto e rinchiuso in una gabbia, e la gabbia viene appesa in mezzo a una grande finestra da dove lui può guardare in strada. Però non c'è nessuno a cui chiedere aiuto perché sono tutti all'osteria.
Giglio urla e si dispera ma alla fine qualcuno lo sente: è Celionati. Questo gli spiega che, col vestito tutto piume che indossa, Giglio è stato scambiato per un uccello, e per la precisione per un pappagallo. Però lo aiuta a scappare. Giglio corre a casa, si strappa di dosso i vestiti appariscenti, si rimette la maschera da Pantalone e corre sul Corso. E qui incontra una bella ragazza che suona il tamburello e prende a danzare con lui.
6) Giglio e la ballerina danzano insieme, sempre più rapiti dall'ebrezza della musica. La ragazza ovviamente è la principessa Brambilla, e Giglio è preso da una tale estasi amorosa che a un certo punto gli pare di svenire tra le braccia della principessa. Però le braccia che lo accolgono quando lui infine cede sono quelle di Celionati.
Giglio si sente vagamente spossato e Celionati si offre di riaccompagnarlo a casa, a Palazzo Pistoia. Perché lui, ovviamente, è il principe Cornelio Chiapperi, ed è ancora vittima di strani disordini. I due vengono serviti da un piccolo Pulcinella, servitore del principe. Giglio lamenta che la sua principessa Brambilla si sia invaghita d'un rozzo commediante di nome Giglio Fava e medita vendetta. Celionati gli dà manforte. La scena si conclude con i due che pasteggiano e Giglio che promette di ammazzare Giglio.
La scena successiva si apre sul Corso, con l'apparizione di una curiosa maschera identica a quella indossata da Giglio la prima volta (cioè buffa fino alla cintola ed elegante per il resto), che s'imbatte in un curioso Brighella/Pantalone. I due si sfidano a singolar tenzone a colpi di spada di legno. La lotta è lunga e i due sono tanto eroici e cavallereschi che tra un assalto e l'altro si abbracciano fraternamente, ma alla fine Capitan Pantalone vince e ammazza Giglio, il cui cadavere viene portato in trionfo dalla folla festante.
Intanto la vecchia Beatrice ce l'ha a morte col Celionati che ha messo stambe idee in testa alla sua Giacinta. Figurarsi, che la ragazza sostiene che il principe assiro Cornelio Chiapperi la visiti quotidianamente trasformando la sua umile casetta in una reggia splendente, quando Beatrice non vede proprio nulla ed è convinta che non esista nessun principe.
7) Altra scena. Siamo al Caffè Greco. L'abate Chiari e l'impresario del Teatro Argentina avvicinano un giovane dignitoso che sta consumando il suo pasto in solitudine e si rivolgono a lui come a Giglio Fava, chiedendogli ragioni della sua scomparsa. Il giovane afferma di non essere quel Giglio che loro dicono, il quale purtroppo è morto, e per sua stessa mano, e quando Giglio era morto si è trovato che il corpo non era altro che un fantoccio pieno dei versi dell'abate Chiari, ed era stato questo a causare la morte.
L'abate si risente per queste insinuazioni, ma viene celermente buttato fuori dal locale assieme all'impresario.
Ed ecco che ricompare Celionati, che il giovane ringrazia pregandolo di non svelare il suo segreto.
Quando il ragazzo si allontana, però, gli studenti tedeschi pretendono di ascoltare il seguito della storia di re Ofioch e delle regina Liris. Celionati s'arrabbia dicendo che questo è già stato raccontato da Ruffiamonte a Palazzo Pistoia e che lui certamente non vuol raccontare due volte la stessa storia, ma che preferisce narrare del problema del suo assistito, che loro hanno appena visto, e che soffre di dualismo cronico. Porta l'esempio di due principi gemelli siamesi attaccati per il didietro, i cui sudditi non riuscivano mai a comprenderne le intenzioni. E qui si ha un caso ancor più grave in cui il principe pensa “di traverso”, e il risultato è che l'ammalato non capisce mai se stesso.
Gli astanti convengono che si tratti d'una brutta malattia, ma il giovane in questione si unisce al gruppo e, scherzando, afferma che Celionati parla per metafore: lui in realtà ha solo un problema agli occhi, a causa del quale egli trova ridicole le cose più serie. Per guarire gli occorrerebbe fare molto moto, ma come? In quella entra mastro Bescapé che saluta il giovane come “serenissimo principe” e allora a lui non resta che confessare: lui, il principe Cornelio Chiapperi, non può fare moto, dal momento che di spazio non ne ha, il suo regno è tutto racchiuso in un'area limitata.
Il principe si allontana e sul Corso incontra la principessa Brambilla, che gli offre il suo amore. Ma lui le rinfaccia l'infatuazione per l'attore Giglio Fava e lei gli rinfaccia la passione per la bella modista Giacinta Soardi. I due si lasciano infuriati.
8) Ma il principe non riesce a consolarsi e prende a percorrere il Corso disperato invocando la sua amata principessa, finché la gente non ride di lui e lei, la principessa Brambilla, commossa, non torna e quando lui le si sottomette baciandole la pantofola e lei accetta di perdonarlo. Immediatamente i due vengono avvolti da una nuvola di tulle, e quando questa si dissipa sono di nuovo a Palazzo Pistoia, nella sala dove Giglio aveva sentito la storia della principessa Mistilis. Ma ora la sala è ancor più sfarzosa e al centro siedono il mago Ruffiamonte e il principe Bastianello da Pistoia (che poi non è altri che Celionati stesso). I due leggono un testo mistico sull'Italia, sul carnevale che libera l'Io da sé stesso, sull'Io che si ritrova nei limpidi cieli italiani, nei quali ci si rispecchia nella fonte dell'amore. Quindi la sala si trasforma magicamente nel giardino di Urdar, i due maghi estraggono la bambolina che era la principessa Mistilis e nel vederla il principe e la principessa si svegliano dal loro torpore, si guardano nello specchio d'acqua e ridono, così come avevano fatto re Ofioch e la regina Liris prima di loro. E mentre così fanno la regina Mistilis torna in vita portando benefici a tutto il popolo.
Esattamente un anno dopo, verso mezzanotte, la vecchia Beatrice si affaccia alla finestra e dice che deve preparare casa per il ritorno dei padroni. I padroni sono Giacinta Soardi e Giglio Fava, che ormai sono sposati (tra di loro) e vivono in un appartamento non grande ma accogliente (e comunque migliore di quanto avessero mai avuto prima). Sono sposati già da un anno ma si comportano ancora come due sposini freschi di nozze, tutti attenzioni e tenerezze. Sono entrambi attori, ma attori comici: lui specializzato in ruoli da Brighella o da Truffaldino, mentre lei è una deliziosa Smeraldina. Da quando si sono specchiati nella fonte di Urdar la loro vita è cambiata e hanno spezzato l'incantesimo che teneva avvinta la principessa Mistilis (vale a dire la vera principessa Brambilla). Per farlo, spiegano Bastianello da Pistoia e mastro Bescapé, ospiti per cena dei due, occorreva una coppia di innamorati pieni di fantasia che avessero la capacità non solo di riconoscere l'umorismo, ma anche di trasportarlo nella vita reale attraverso il teatro, che è esso stesso una forma della fonte di Urdar. Era però necessario che si spogliassero dei loro abiti eroici per indossarne altri, costumi fatti d'ironia e umorismo. E così, anche se con parecchie difficoltà, è avvenuto. La storia si conclude con un allegro banchetto di cui, dice l'autore, solo Callot potrebbe fornire dettagli.
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