martedì, marzo 08, 2011

Anna dai Capelli Rossi

Ci sono ben due novità!
ANNA DAI CAPELLI ROSSI - Vol. 1

di Lucy Maud Montgomery

copertina di Paolo Campinoti


Per la prima volta in ebook la raccolta dei primi tre libri della saga di Anna dai Capelli Rossi: Anna dei Tetti Verdi, Anna di Avonlea e Anna dell'Isola. Dall'adozione da parte di Matthew e Marilla ai suoi grandi sogni e ambizioni, dai primi lavori al grande amore. A 4 euro invece di 6!
Codice ISBN: 978-88-96104-19-4
Formato PDF, peso: 3,4 mb
Prezzo: 4,00 euro

ANNA DAI CAPELLI ROSSI - Anna dell'Isola

di Lucy Maud Montgomery


In questo terzo capitolo della sua saga, Anna Shirley sta per affrontare una nuova svolta nella sua vita. Ha diciott'anni e andrà all'università, in una nuova città, in una casa nuova, con esperienze e amici tutti nuovi. E tra spasimanti più o meno abili scoprirà anche l'amore.
Codice ISBN: 978-88-96104-18-7
Formato PDF, peso: 1,3 mb
Prezzo: 2,00 euro

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lunedì, febbraio 07, 2011

Salone del Libro

Il Gatto e la Luna cerca piccoli editori con cui dividere stand e spese al Salone del Libro di Torino. Se siete interessati scriveteci a info@ilgattoelaluna.it

mercoledì, gennaio 05, 2011

Vita di Bohème

RIASSUNTO: Vita di Bohème, di Henri Murger

Capitolo 1- Come fu istituito il cenacolo della Bohème

Siamo a Parigi, nel milleottocentoquaranta e rotti (l'anno è imprecisato). È l'8 di aprile e questo, per Alessandro Schaunard, giovane musicista nonché pittore, è una data fatidica. Perché ha ricevuto lo sfratto ed entro mezzogiorno deve non solo lasciare l'appartamento, con mobili suoi annessi (il pianoforte e un tavolo usato come letto o da scrivania a seconda dei casi, tutti gli altri sono stati bruciati per scaldarsi), ma deve anche 75 franchi di arretrati al padrone di casa. Problema: lui non ha il becco d'un quattrino. Ma trascorre lo stesso quasi tutta la mattinata nel comporre una canzone inutilmente poetica, solo per scoprire che la sua situazione economica riesce meglio, come tema, della triste storia d'amore di una fanciulla il cui amante è morto. Alle undici del mattino decide di fare qualcosa e andare in giro a cercar soldi, possibilmente chiedendoli in prestito ai suoi vari conoscenti (chiedere soldi in prestito è una sua specialità) e abilmente lascia casa. Poco dopo giunge il nuovo occupante dell'appartamento, il pittore Marcello, possibilmente anche più eccentrico di Schaunard, con un carico di paraventi dipinti che rappresentano tutta la sua mobilia, ma con prospettive alte e originali.
Schaunard raggranella un po' di franchi, ma sono pochi per pagare l'affitto arretrato così fa pervenire al padrone di casa un avviso in cui gli annuncia di non poter adempiere ai suoi compiti, e allo stesso tempo si reca in un'osteria per spendere quel po' che ha racimolato in cibi e bevande. All'osteria conosce Gustavo Colline, giovane filosofo e studioso. I due fanno amicizia dividendosi un coniglio in fricassea e molte bottiglie di vino. Poi si trasferiscono a gozzovigliare al caffè Momus, dove conoscono un altro giovane, il poeta e giornalista Rodolfo. Tra un bicchiere e l'altro, e un discorso sull'arte e un altro, i tre giovani diventano amici fraterni, specialmente a causa dell'alcol.
Schaunard, dimenticandosi d'esser stato sfrattato, invita a casa propria Rodolfo e Colline. Una volta a casa viene accolto dal nuovo padrone, Marcello. Ma i quattro giovani anziché prendersela per il qui pro quo colgono l'occasione per fare amicizia, e (ormai è notte), continuano la gozzoviglia tra vino e cibi da asporto. Si addormentano esausti, e al mattino non ricordano più neppure in che occasione si sono incontrati.
Ma dopo un po' di ragionamenti tutto torna alla memoria. Ormai i quattro si sentono amici fraterni e non vogliono più lasciarsi, ma il lavoro (per quel che è) richiama ognuno ai propri compiti. Non importa: è questione di poche ore e i quattro novelli amici potranno riprendere a gozzovigliare.
Marcello propone a Schaunard di vivere insieme: il primo ci metterà la casa e il secondo la mobilia. Il musicista accetta.

Capitolo 2 – Un inviato della Provvidenza

Marcello è stato invitato a una cena importante e questo, proprio adesso che in dispensa non c'è niente da mangiare, è provvidenziale. Ma Schaunard gli fa notare che non ha neanche un vestito nero, elegante da indossare per l'occasione. Marcello sta quasi per rinunciare quando alla loro porta arriva qualcuno: è un commerciante in zucchero che desidera che Schaunard gli faccia un ritratto, più presto possibile perché deve partire. Il commerciante porta un vestito elegante, nero, proprio della taglia di Marcello. Sarebbe l'ideale! La trappola scatta subito: col pretesto di fare un ritratto più realistico che mai, Schaunard convince il commerciante a posare in vestaglia, mentre Marcello indosserà il suo vestito per andare alla cena. Intanto il musicista-pittore intrattiene l'ospite con chiacchiere e vino. Quando Marcello torna a notte fonda (ben oltre l'orario pattuito) trova l'amico e il cliente beatamente ubriachi e addormentati.

Capitolo 3 – Amori di quaresima

Rodolfo è in crisi perché a quanto pare anche se è tempo di quaresima a Parigi tutti sono innamorati e accoppiati tranne lui. Questo lo irrita molto e improvvisamente sente l'urgenza di avere una donna da abbracciare ma non sa come trovarla perché lui con gli approcci non se la cava molto. Perciò si rivolge a Schaunard e lo convince ad aiutarlo a far la conoscenza con una graziosa fanciulla incontrata al caffè Momus. Si tratta di una sartina assai graziosa di nome Luisa. Graziosa, sì, ma semianalfabeta e un po' terra-terra. Rodolfo invita Luisa a cena a casa sua, quando la fanciulla si accorge che il poeta oltre al desinare ha preparato anche il letto con lenzuola fresche e bianche capisce subito le intenzioni del giovane e ne accetta volentieri le profferte amorose trasferendosi subito nell'abitazione dell'artista. Ma la passionale storia d'amore dura pochi giorni, la fanciulla si stufa presto e molla il poeta per uno studente più prestante e più ricco. Tempo dopo Rodolfo viene a sapere, perché trova una lettera d'addio in casa sua, che Luisa è stata anche l'amante di Marcello. Fa notare al pittore che Luisa nella lettera per lui ha fatto due errori di ortografia in meno che per Marcello, ma costui gli dà del tonto: che bisogno ha, dice, una bella ragazza di saper scrivere bene?

Capitolo 4 – Alì-Rodolfo, ovvero il turco per necessità

Rodolfo ha trovato lavoro: suo zio Monetti gli ha commissionato un libro sugli impianti di riscaldamento. Ma Rodolfo non si sente tagliato per questo lavoro e va molto per le lunghe perciò lo zio, per obbligarlo a scrivere, ricorre a una soluzione drastica. Lo chiude in casa senza vestiti (gli lascia solo una sorta di abbigliamento da turco) e gli raziona cibo e tabacco. Ma Rodolfo va allo stesso a rilento, perché quel lavoro proprio non gli piace. Rimasto senza tabacco, e quindi disperato, Rodolfo si affaccia al balcone e vede che l'inquilina del piano di sotto, la graziosa attrice Sidonie, è anche lei sul balcone a fumare una sigaretta. Riesce a convincere la fanciulla a passargli del tabacco da fumare, e già che c'è anche del cibo. Gli arriva una lettera in cui gli notificano che ha vinto un premio in denaro per un concorso letterario, perciò con l'aiuto di Sidonie riesce a evadere per riscuoterlo, e manda a quel paese il lavoro sugli impianti di riscaldamento. Sidonie riesce a far sì che la tragedia scritta da Rodolfo, il Vendicatore, venga rappresentata in teatro. La buona fortuna dura poco: tempo poche settimane e Rodolfo si trova di nuovo sotto i ponti.

Capitolo 5 – Lo scudo di Carlo Magno

Rodolfo e Marcello, che adesso vivono insieme, hanno deciso di organizzare una gran festa per il mondo artistico di Parigi. Il programma è steso, tutto è pronto... mancano solo i soldi. È da un anno che l'annuncio della festa va avanti a vuoto e ormai la storia è diventata la barzelletta del loro ambiente artistico. Ora parrebbe la volta buona, ma ancora una volta... non ci sono soldi. Ma non si può rimandare ancora, la figuraccia sarebbe intollerabile. A due giorni dalla festa Rodolfo e Marcello sperano di trovar quattrini in qualche modo: Rodolfo prestando ascolto a suo zio Monetti, che ama avere qualcuno con cui lamentarsi, e Marcello vendendo un quadro fatto in quattro e quattr'otto a un rigattiere. Ma entrambi i progetti sono un buco nell'acqua. I due decidono di frugare casa da cima a fondo perché non si sa mai, potrebbe esserci sempre un tesoro abbandonato da precedenti proprietari. Cercando ovunque, i due trovano una moneta antica, uno scudo carolingio perso da chissà chi. Qualcosa può fruttare, così mentre Marcello si reca dal rigattiere a venderla, Rodolfo va da Colline a farsi prestare un vestito elegante. Sì, perché fra i quattro Colline è l'unico che possegga un abito nero (anche se in realtà è blu) da cerimonia. Il filosofo, che alla festa sarà anche oratore, vorrebbe indossarlo lui, ma Rodolfo riesce a farselo dare con la scusa che lui, in quanto padrone di casa, non può sfigurare. Così svuota le tasche dagli innumerevoli libri che Colline si porta sempre dietro (qualcuno lo definisce perciò una biblioteca ambulante) e torna a casa col prezioso bottino, per scoprire che Marcello è riuscito a ottenere da quel vecchio scudo molti più soldi di quanto preventivato. E così la festa riesce un vero successo, roba da far invidia alla stessa principessa di Belgioioso, Femia, l'amante di Schaunard, è la reginetta della festa... e ci sono perfino le candele!

Capitolo 6 – Musette

Musette è una ragazza assai graziosa, vivace, intelligente, amante delle belle cose... soprattutto amante. Da quando è arrivata a Parigi s'è subito fatta notare per il suo brio e le sue deliziose scollature. Ora ha vent'anni ed è l'amante di un consigliere di stato, giovane e bello perché comunque lei non accetta mai di accompagnarsi a uomini che non le piacciano, anche a costo di perderci molti soldi. Grazie a questo nuovo amante può permettersi di vivere nel lusso e dare feste strepitose. Purtroppo però il rapporto s'interrompe e lei finisce in strada con tutti i suoi mobili proprio la sera in cui aveva organizzato una delle sue feste. Ma questo per lei non è certo un motivo valido per rinunciarvi: la festa si fa lo stesso, in cortile. Ed è in quest'occasione che Rodolfo, che è suo amico (inspiegabilmente i due non saranno mai altro che semplici amici) le presenta Marcello e tra i due scatta subito una forte intesa, nonostante l'abbigliamento di Marcello lasci alquanto a desiderare (porta una sgargiante camicia blu con disegni di cinghiali e cani da caccia e sopra il vecchio Matusalemme, come chiama il suo unico completo scuro ormai fuori moda da anni). La festa è assai animata e termina solo l'indomani, quando i rigattieri vanno a prendere i mobili.
Rimasta senza casa e non avendo ancora voglia di ritirarsi e adattarsi a star sotto un ponte, Musette trascorre l'intera giornata con Rodolfo e Marcello, e insieme i tre giovani fanno una scampagnata spassandosela molto. Soprattutto Musette e Marcello che continuano a scambiarsi baci, carezze e manifestazioni d'affetto varie.
A fine giornata, tornati in città, Marcello ospita la ragazza nel suo appartamento e, nonostante le proteste della giovane, lui le cede letto e casa preferendo farsi ospitare da Rodolfo, che abita alla porta accanto.
L'indomani Marcello sveglia Musette portandole in dono un mazzo di fiori e lei, piacevolmente sorpresa da quelle tenere attenzioni, accetta di diventare l'amante del pittore, ma soltanto “fino a che i fiori non appassiranno”, il che presuppone solo un paio di giorni.
Ma di giorni ne passano quindici, i fiori resistono e così la convivenza tra Marcello e Musette.
Una notte il pittore si sveglia e non trova Musette accanto a lui nel letto. Ma scopre subito dov'è andata: sta cambiando l'acqua ai fiori per impedir loro di appassire.

Capitolo 7 – I fiumi d'oro

Un 19 di marzo Rodolfo, che in questo periodo vive con Marcello, riceve l'astronomica cifra di 500 franchi. Questo denaro gli è stato donato da una persona che spera che Rodolfo l'impieghi saggiamente per farsi una posizione onesta nel mondo. E per tenere fede a questo presupposto lui spende immediatamente 25 franchi per comprarsi una pipa pregiata (che gli durerà di più delle solite pipe economiche e perciò questo è da considerarsi un investimento). Torna a casa e fa quasi prendere un colpo al pittore facendogli tintinnare davanti tutte quelle monete.
I due decidono immediatamente di comportarsi in maniera assennata: quei soldi dovranno durare almeno tre mesi e perciò è bene economizzare e limitarsi alle spese necessarie eliminando il superfluo. Per questo motivo il denaro non verrà impiegato per pagare i creditori (sarebbe una spesa superflua) bensì per mangiare al ristorante (e risparmiare il tempo non dovendo cucinare), acquistare tabacco, articoli d'abbigliamento e così via. I due assumono anche un maggiordomo tuttofare, Battista, che faccia loro risparmiare tempo nel badare alla casa.
Passano otto giorni e Rodolfo e Marcello si accorgono con sgomento che la loro ricchezza si è esaurita e che i soldi sono finiti. Com'è stato possibile? Eppure loro sono stati estremamente frugali, e molto se n'è andato in “spese varie”, ma non certo tutti e 500 franchi.
Cos'è capitato? Presto detto: quel mattino, mentre i due artisti erano fuori, è arrivato il padrone di casa reclamando i soldi dell'affitto e Battista, solerte, ha pensato bene di usare i soldi rimanenti per saldare il debito.
Ma l'affitto è una spesa superflua! Il povero maggiordomo viene così licenziato in tronco.

Capitolo 8 – Quel che costano cinque franchi

Rodolfo s'invaghisce della modista Laura e decide di farne la propria amante per almeno un paio di giorni, per questo la invita a cena e la fanciulla accetta con entusiasmo.
Laura è una ragazza d'una certa eleganza e Rodolfo tiene a far bella figura almeno al primo appuntamento, ma malauguratamente, tanto per cambiare, non ha il becco d'un quattrino, e il suo proposito di recarsi alla redazione della Sciarpa d'Iride, il giornale per cui lavora, per chiedere un anticipo fallisce miseramente: quel giorno, purtroppo, sono andati tutti a Versailles a seguire uno spettacolo di giochi d'acqua con le fontane. Come fare a trovare almeno 5 franchi entro sera?
Si reca da un conoscente, un critico teatrale, e scrivendo una recensione per lui riesce a racimolare qualcosa. Un altro po' di soldi li scuce a suo zio Monetti, qualcos'altro se lo fa prestare dalla sua lavandaia in cambio di alcuni libri di poesia, e ancora qualcosa riesce a ottenerlo da un conoscente incontrato non troppo per caso, raccontandogli di aver bisogno di denaro per prendere una carrozza e andare a riscuotere una grossa somma.
Insomma, con mille piccoli sotterfugi, riesce a mettere insieme, al centesimo, i cinque franchi tanto sospirati. Trascorre con Laura una serata piacevole e lei alla fine, conquistata, accetta con gioia di diventare la sua amante.

Capitolo 9 – Le violette del Polo

In questo periodo Rodolfo è innamoratissimo di sua cugina Angela, figlia del solito zio Monetti.
Angela ha diciott'anni, è molto bella ma è gelida e acida perché per gli ultimi sei anni è stata cresciuta in campagna da una zia devota fino al fanatismo, e perciò pare che ora nelle vene anziché sangue le scorra acqua benedetta. E in più proprio non sopporta Rodolfo.
Ma lui tanto fa e tanto insiste che alla fine arriva a prometterle di regalarle un bouquet di violette bianche per un ballo alla quale la fanciulla dovrà partecipare di lì a poco.
Promessa avventata, perché è inverno e quando Rodolfo, per curiosità, decide di entrare da un fiorista per conoscere il prezzo del bouquet viene a sapere che questo costa la bellezza di (minimo) 10 franchi!
E come fa a trovarli? Ma ormai ha promesso, e poi ha ben otto giorni di tempo per raggranellarli.
Purtroppo stavolta la Provvidenza pare non volerlo aiutare, passano 5 giorni e Rodolfo non ha ancora trovato nulla. Decide perciò di andare a consultarsi con Marcello. Fortuna vuole che proprio in quella s'imbatta dal pittore in una donna, fresca vedova, che commissiona a Marcello un dipinto commemorativo del marito e a Rodolfo un epitaffio struggente che gli verrà pagato, alla consegna, giusto 10 franchi.
Rodolfo vive in una appartamento esposto ai venti e decisamente gelido, per di più non ha soldi per acquistare legna da ardere nel camino e tutti i mobili di legno che aveva sono già stati sacrificati allo scopo da un pezzo. Perciò si fa prestare da Marcello un caldissimo travestimento da orso polare (tanto è carnevale e anche se gira così in città nessuno ci farà caso) e per scaldarsi anche le mani mentre compone l'epitaffio brucia una delle vecchie bozze della sua lunghissima tragedia, il Vendicatore.
Riesce in questo modo a terminare il lavoro, ottenere i dieci franchi e acquistare in tempo il bouquet di violette bianche per Angela.
Alla festa il bouquet della fanciulla è molto ammirato da tutti e la ragazza potrebbe anche rivolgere un pensiero di riconoscenza a Rodolfo, se non fosse che è molto più interessata a un bel giovanotto biondo che le fa la corte.
E Rodolfo, il quale non è stato invitato alla festa, non può far altro che limitarsi a guardare le luci del ballo dall'alto della sua gelida magione e sospirare.

Capitolo 10 – Il “Capo delle Tempeste”

Ci sono delle date, ogni mese, che Rodolfo detesta in modo particolare il 1° e il 15. Come mai? Perché sono i giorni in cui arrivano i creditori.
Oggi è proprio la mattina del 15 di aprile, e Rodolfo sta dormendo della grossa sognando di aver appena ereditato il Perù con tutti i peruviani, quando il suo sogno d'oro viene interrotto dall'arrivo di un creditore che esige 150 franchi per conto del sarto. Dopo di lui arriva il padrone di casa, nonché ciabattino, nonché strozzino, a pretendere ben 162 franchi. Rodolfo tenta di raggirarlo con arguti giri di parole ma non attacca: se non paga entro sera verrà sfrattato.
Decide perciò di recarsi dagli amici in cerca di prestiti, ma è il 15 aprile anche per loro. E neppure il suo tentativo di sfruttare un buono per un pasto presso un'associazione va a buon fine, perché il raduno è illegale e viene interrotto dall'arrivo della polizia.
Sconsolato per la magra riuscita, Rodolfo torna a casa, ma il padrone gli fa sapere che ormai l'appartamento è già stato affittato a un altro inquilino. Rodolfo può però salire a riprendersi almeno le sue carte.
Viene condotto nell'appartamento e scopre che il nuovo inquilino è Mimì, ragazza graziosa e vivace con cui in passato lui ha già avuto una breve relazione amorosa.
La ragazza non ha cuore di lasciare Rodolfo in strada (anche perché piove) e decide di ospitarlo. Rodolfo, riconoscente, la copre di baci. Ormai il 15 è passato, e il “Capo delle Tempeste” è stato doppiato.

Capitolo 11 – Il ritrovo della Bohème

I quattro amici della Bohème hanno l'abitudine di ritrovarsi di frequente al caffè Momus, cosa che non piace al proprietario del locale in quanto i quattro, col loro baccano, le loro prepotenze e il loro linguaggio spesso triviale, tendono a far fuggire tutti gli altri clienti, e in più consumano poco e spesso non pagano le consumazioni. Il signor Momus ha esposto in chiari punti i motivi delle lagnanze:
1 – Rodolfo arriva sempre al mattino e ruba tutti i giornali del locale, inoltre ha praticamente costretto il caffè ad abbonarsi al Castoro, rivista di moda di cui lui è redattore capo.
2 – Colline e Rodolfo si appropriano del tavolo da trictrac per giornate intere impedendo agli altri avventori di usufruirne.
3 – Marcello usa il locale come se fosse un suo atelier privato portandosi dietro tele, colori e cavalletti, e talvolta anche modelli di ambo i sessi.
4 – Similmente Schaunard ha piazzato al Momus il suo pianoforte e ha affisso in giro avvisi in cui reclamizza lezioni private di musica pregando di “rivolgersi al banco” per informazioni. A tali avvisi spesso risponde gente equivoca. Inoltre la sua donna, Femia, non porta mai il cappello.
5 – Non contenti di spendere già poco, i quattro hanno preso a portarsi il caffè da casa sostenendo che in quello del Momus ci mettono la cicoria.
6 – Il cameriere, fuorviato dai discorsi dei quattro, ha preso a corteggiare sfacciatamente la donna che lavora al banco infischiandosene del fatto che questa è anche la moglie del signor Momus. Inoltre pare che Rodolfo lo aiuti in questa losca impresa.
Insomma, il signor Momus non ne può più e vorrebbe che i quattro amici si trovassero un altro luogo di ritrovo, ma Colline, che è un buon oratore, riesce a persuaderlo delle loro buone intenzioni e i bohemien scendono a compromessi andando incontro almeno in parte alle richieste del gestore.
Le cose sembrano placarsi per qualche giorno, ma una sera gli amici si presentano al Momus con le loro amanti: Musette, amante di Marcello, Mimì, che sta con Rodolfo, e Femia, la donna di Schaunard. Manca l'amante di Colline che è rimasta a casa a correggere le bozze di certi manoscritti del compagno. Le ragazze sono in vena di festeggiamenti, e tra vini, liquori e cibo ordinano una cena per più di 25 franchi. Ovviamente nessuno di loro ha tutti quei soldi, e sta già per scatenarsi una lite furibonda col gestore del locale.
Gli amici però non si sono accorti di un ragazzo che li osserva con interesse già da qualche settimana. Si tratta di Carolus Barbemouche, aspirante artista con la passione della filosofia e delle lettere assai danaroso (i quattro lo chiamano “il capitalista” da quando l'hanno visto che saldava un conto con un pezzo alto), che arde dal desiderio di unirsi all'allegra combriccola. Lui paga il loro conto e, davanti alla reazione dei quattro, che si sentono offesi da questo gesto, accetta di giocarsi la somma al biliardo, perdendo giudiziosamente come sa di dover fare se desidera la loro approvazione.

Capitolo 12 – Un nuovo membro nella Bohème

Usciti dal locale, Barbemuche si accoda a Colline e lo invita a bere qualcosa altrove, e intanto gli espone il suo desiderio di far parte del cenacolo della Bohème. Il filosofo promette di metterci una buona parola, ma non garantisce che gli altri accetteranno: dopo tutto se si aggiunge un elemento a un quartetto poi non si ha più un quartetto. Sono cose che fanno pensare.
Il giorno seguente Colline raggiunge a pranzo gli amici al Momus ed espone le richieste del giovane, ma i ragazzi sono assai titubanti: temono che questo presunto artista miri alle loro donne. Colline li rassicura: Barbemouche è un platonico, un uomo che non osa amare le donne, e le fanciulle non corrono rischi.
Gli amici decidono di dare una possibilità al giovane ma prima desiderano studiarlo attentamente uno per volta con incontri privati e solo in seguito, se verrà accettato, lui dovrà offrir loro una festa da non meno di 12 franchi.
Il primo è Rodolfo, che viene accolto nella lussuosa casa di Barbemouche e deve sorbirsi la lettura di un lungo romanzo scritto dal ragazzo. A parte questo, però, l'impressione è buona. Ancora migliore per Schaunard, e perfino per Marcello, che pure era il più ostico. Il nuovo membro è accettato e la festa organizzata.
Verrà tenuta a casa del viscontino, adolescente allievo di Barbemouche che pare assai contento all'idea di conoscere delle ragazze.
I quattro amici saccheggiano l'armadio di Barbemouche per procurarsi abiti adeguati, e la cena con festa è un successone, tutti mangiano e si divertono, il viscontino passa la serata a fare piedino sotto il tavolo a Mimì. Tutti sono contenti tranne Marcello. Le scarpe eleganti prese in prestito da Barbemouche gli stanno strette e questo secondo lui vuol dire che loro non potranno mai essere amici.

Capitolo 13 – Una nuova unione

Rodolfo non si vede in giro da un po' e gli amici sono preoccupati, ma il più preoccupato di tutti è Colline, perché il poeta deve fargli pubblicare il suo primo articolo di filosofia sul Castoro ma non gli ha detto quando. Lo cerca così in lungo e in largo e alla fine, venuto a sapere il suo nuovo domicilio, si presenta da lui alle sei del mattino. Rodolfo dorme e non gli apre la porta, ma Colline scopre davanti alla soglia di casa due paia di scarpe: stivali maschili e stivaletti femminili. Rodolfo ha un'amante, ecco perché era scomparso!
La notizia suscita incredulità e stupore nel circolo, perché nessuno si aspetta da Rodolfo una cosa del genere. Ma ben presto tutto viene confermato dallo stesso poeta, che invita gli amici a cena da lui firmandosi “Rodolfo e signora”.
La signora in questione è Mimì, che ha preparato una cena deliziosa per gli artisti. Colline viene a sapere che il suo articolo verrà pubblicato di lì a pochi giorni, non è più in sé dall'emozione e prende a fare discorsi sconnessi. Il vino scorre a fiumi, gli amici gozzovigliano ma non accennano a voler andarsene, e Rodolfo è ormai ansioso di restare da solo con la sua Mimì, che gli lancia continui e significativi sguardi languidi.
Ci pensa Marcello a trarlo d'impaccio, con poche scuse banali allontana gli amici ubriachi e se ne va anche lui. Rodolfo e Mimì possono finalmente fare l'amore.

Capitolo 14 – Mimì

Lo sanno tutti: Mimì (il cui vero nome è Lucilla) è il grande amore di Rodolfo. Ma è un amore tormentato e tormentoso, che strazia il cuore del giovane poeta. Mimì è graziosa, intelligente, apparentemente dolce e conciliante, con grandi occhi blu e lunghi capelli scuri. Ma sotto l'apparenza mite nasconde un carattere bizzoso e un notevole egoismo.
Rodolfo è sempre stato d'animo romantico, tanto che Marcello (anche a causa della precoce calvizie) gli ha affibbiato il nomignolo di Calvo Nontiscordardime.
Ha conosciuto Mimì perché lei era l'amante di un suo amico e i due si sono messi insieme quasi subito. Rodolfo è innamoratissimo di Mimì, e per un po' crede che anche lei lo ricambi, ma ben presto deve arrendersi all'evidenza: Mimì gli è sì affezionata, ma non lo ama né mai l'ha amato. La fanciulla, invece, fuorviata da certe amiche, è sempre più scontenta della misera vita che conduce col poeta e l'ambizione la spinge a cercare di meglio altrove. È con grande dolore che Rodolfo scopre che la sua Mimì gli è infedele e che tutte le sue numerose assenze non sono dovute alle visite dalla zia, come lei gli aveva detto, bensì a incontri con numerosi amanti. Ferito, Rodolfo decide di lasciare la ragazza: tra i numerosi litigi, le poche notti d'amore e le ormai evidenti infedeltà di Mimì la vita con lei gli è divenuta insostenibile.
Mimì cerca di farsi perdonare ma si accorge di non riuscire a smuovere il giovane, ormai troppo amareggiato, e si appresta subito a trovarsi un altro amante danaroso e nobile.
Rodolfo alterna momenti di cupa disperazione e falso entusiasmo; partecipa a una festa, rimorchia una giovane bella e disponibile, ma al dunque la respinge e se ne torna a casa a disperarsi perché ha perso la sua Mimì. Neppure i suoi amici riescono a fargli aprire gli occhi parlandogli di tutti i difetti e i tradimenti della ragazza: lui è troppo innamorato.
Rodolfo riceve la visita di Amelia, che è un'amica di Mimì ed è andata da lui a recuperare gli effetti personali che la ragazza ha lasciato a casa del poeta. Gli fa così sapere che il nobile danaroso ha lasciato Mimì, la quale adesso è ospite a casa sua. Rodolfo perciò finge di corteggiare Amelia solo per ricevere notizie fresche di Mimì.
Amelia racconta tutto all'amica sperando di ingelosirla, ma la ragazza ha capito il tranello. Quando Rodolfo invita Amelia a un ballo, Mimì fa in modo di presentarsi invece lei all'appuntamento. Il dolore ha conferito a Rodolfo un aspetto più maturo e sofferto e Mimì comincia a pentirsi di averlo lasciato. Quando il poeta invita la ragazza a casa sua per riprendersi le sue cose lei ci va. E ci resta.

Capitolo 15 – Vite in comune

Come si sono conosciuti Marcello e Musette lo sappiamo. Si sono messi insieme per capriccio, e la loro relazione è spesso assai vivace, costellata da frequenti litigi. Proprio durante uno di questi litigi i due si accorgono di non riuscire a separarsi e si rendono conto, con profondo sgomento, di essersi innamorati davvero. Quando giunge Rodolfo gli rivelano la ferale notizia. Lui in quel periodo vive nell'appartamento accanto insieme a Mimì e ben presto un'altra coppia di vicini li raggiunge: Schaunard e la sua Femia. Per un po' le tre coppie se la godono. Chi non se la gode affatto è il vicinato.
Gli altri abitanti dello stabile sono continuamente disturbati dalle vite amorose degli amici. Spesso ci sono liti furibonde con accompagnamento di grida e lancio di oggetti contundenti. Quando invece gli amanti si rappacificano è forse anche peggio, perché le sottili pareti dello stabile fanno sì che nessun dettaglio degli incontri amorosi sfugga ai vicini. Per questo molti di loro, esasperati, decidono di andarsene.
L'idillio non dura più di sei mesi. I primi a lasciarsi sono Femia e Schaunard, a causa delle ginocchia di lei. Quindici giorni dopo Mimì lascia Rodolfo per correre tra le braccia del viscontino, già allievo di Barbemouche. È quindi la volta di Musette che, nostalgica della vita agiata che conduceva prima di mettersi con Marcello, cede alla corte di Alessio, un giovanotto ricco e brillante che le permette di vivere nel lusso. Alessio non ha di che lamentarsi a parte un dettaglio: Musette non sembra per nulla innamorata di lui. Probabilmente, gli dice lei, è perché ha lasciato il cuore a casa di Marcello. E se solo il pittore non fosse tanto squattrinato lei non l'avrebbe mai lasciato.
Tempo dopo Marcello e Musette s'incontrano di nuovo al viale. Lei è una signora elegante che scende da una carrozza mettendo in mostra una gamba estremamente ben tornita. Lui comincia a corteggiarla prima ancora di capire che è lei, attratto solo da quella gamba. I due cominciano a chiacchierare, scherzare e litigare come ai vecchi tempi.
Con una scusa banale, Musette riesce a farsi invitare a casa di Marcello. Quando Rodolfo li vede arrivare a braccetto sa già come andranno le cose. Ah, questi amori che non si esauriscono mai!

Capitolo 16 – Il Passaggio del Mar Rosso

Ormai da sei anni Marcello lavora al quadro che considera il suo capolavoro: il Passaggio del Mar Rosso. Lui desidera che venga acquistato dal Louvre e per questo motivo continua a inviarlo alla commissione apposita, la quale puntualmente glielo respinge sempre. Il quadro ha percorso così tante volte il tragitto tra lo studio di Marcello e il Museo (e ritorno) che ormai quasi potrebbe andarci da solo.
Per evitare che la commissione riconosca il quadro Marcello di volta in volta effettua delle piccole modifiche e cambia il titolo, perciò una volta diventa Cesare che attraversa il Rubicone, un'altra è il Passaggio delle Beresina... ma a quanto pare l'inghippo non funziona: i giudici lo riconoscono sempre e sempre lo respingono. La cosa esaspera il povero pittore.
Un giorno in cui i nostri amici sono particolarmente a corto di quattrini ricevono la visita del rigattiere Medici. Lui ha trovato qualcuno interessato ad acquistare il Passaggio del Mar Rosso alla cifra di 150 franchi. Marcello dapprima protesta sostenendo che solo di colori ha speso di più, ma poi gli amici lo persuadono ad accettare la generosa offerta.
Tempo dopo Marcello viene a scoprire dov'è finito il suo quadro. Dopo aver subito ulteriori ritocchi è diventato “Al Porto di Marsiglia” ed è l'insegna di un negozio di alimentari, tra l'ammirazione del pubblico.
Marcello si allontana soddisfatto: dopotutto al popolo il suo quadro piace!

Capitolo 17 – La toilette delle grazie

Per una volta tanto Rodolfo ha accettato un lavoro solo per denaro e non per amor dell'arte. Sta infatti scrivendo, per conto di un dentista, un poema sulla chirurgia. I soldi che gli verranno in tasca da questo lavoro gli permetteranno di acquistare l'occorrente affinché Mimì possa farsi un abito bellissimo ed elegante. La ragazza è tanto entusiasta per questa prospettiva che ne parla con Musette e Femia, le quali pretendono dai loro uomini altrettanto spirito di sacrificio.
Per questo motivo Marcello accetta di far ritratti per tutti i soldati di una caserma, e Schaunard accetta un lavoro perfino più strano. C'è un nobile inglese, Mister Birn'n, che ha una vicina estremamente fastidiosa. Costei, Dolores (si spaccia per spagnola ma è francesissima), abita al piano di sotto, è un'attrice e possiede un pappagallo parlante che assilla i vicini col suo incessante chiacchiericcio spesso assai volgare. Mister Birn'n ha cercato di farla desistere inutilmente con le buone. Poi ha preso altri provvedimenti: ha aperto in casa una scuola per percussionisti (ma le autorità gliel'hanno fatta chiudere per schiamazzi), ha installato un poligono di tiro per i domestici (fatto chiudere dalle autorità perché è proibito usare armi da fuoco in abitazioni private), ha perfino allagato il salotto trasformandolo in piscina marina con tanto di pesci, dando fastidio a Dolores con le infiltrazioni d'acqua. Ma anche questa gliel'hanno fatta smantellare. Però nessuno può impedirgli di suonare il pianoforte in casa sua, e qui entra in gioco Schaunard: da sera a mattina dovrà suonare a ripetizione la scala musicale, sempre uguale, perché si sa che nulla è più irritante di qualcuno che si esercita continuamente al pianoforte. Il giovane musicista accetta e alla fine si mette in tasca la bellezza di 200 franchi.
Alla fine le tre ragazze ottengono i tanto sospirati abiti nuovi ed eleganti e insieme ai loro belli e a Colline, che li accompagna, trascorrono una splendida giornata tra i viali di Parigi e la campagna. A sera, inutile dirlo, i soldi sono già finiti tutti.

Capitolo 18 – Il manicotto di Francine

Jacques sarebbe potuto diventare un grande scultore, pieno di talento com'era, se non fosse morto di esaurimento in un ospedale all'età di 23 anni.
Jacques è assai giovane e appassionato della sua arte, ma per seguire la sacra musa ispiratrice è povero in canna. E questo lo rende spesso malinconico e depresso, specialmente quando non ha niente da mettere sotto i denti. Fa anche parte di un'associazione, i Bevitori d'Acqua, artisti così innamorati dell'arte da rifiutarsi di abbassarsi a svenderla per denaro, preferendo piuttosto la miseria. La vicina di Jacques è una sartina altrettanto povera, la bionda, graziosa e vivace Francine. I due si sono già notati, ma non hanno mai avuto il coraggio di rivolgersi la parola.
Una sera di primavera Jacques è particolarmente depresso, così se ne resta in casa a fumare la pipa fino a riempire di fumo tutta la stanza. Quella stessa sera Francine sta rincasando quando, arrivata al piano, un colpo di vento le spegne la candela. Non le va di scendere cinque piani e risalire per riaccenderla nell'androne, così, un po' per pigrizia e un po' per curiosità, decide di bussare alla porta di Jacques per chiedergli il favore di farle riaccendere il moccolo.
Il ragazzo le apre, ma il fumo è tanto che non appena Francine entra in casa sua sviene. Jacques la soccorre, spalanca la finestra per far uscire il fumo, e un colpo di vento spegne anche la sua candela. Le chiavi di casa di Francine sono cadute in terra e i due le cercano a tentoni, le loro mani s'incontrano e i due cominciano a parlarsi. Scatta il colpo di fulmine. Francine spinge le chiavi sotto un mobile: non ha nessuna voglia di ritrovarle.
L'amore tra loro sboccia immediato e appassionato.
Però Francine è tisica, e il medico (che è anche caro amico di Jacques) non le ha dato più di sei mesi di vita. Se ne andrà in autunno, quando cadranno le foglie.
Jacques fa di tutto per Francine, abbandona il circolo dei Bevitori d'Acqua (che non approverebbe il suo comportamento) e accetta lavori anche umili pur di procurare le medicine per curare Francine. Ma lei non vuole sentir parlare di malattia, vuole vivere allegramente quel che le resta donando tutto il suo amore a Jacques, che è il suo primo e unico amore, e getta le medicine fuori dalla finestra sapendo che non potranno aiutarla. Finché può, cerca di rendere felice più che mai il suo uomo.
Ma poi arriva l'autunno, e la fine è vicina.
Francine ha freddo, chiede un manicotto per quando farà più freddo e Jacques glielo procura.
L'ultimo giorno Francine sa che ormai è alla fine e chiede al dottore un medicinale che la tenga su per donare a Jacques un'ultima notte d'amore. Il giorno dopo Francine muore, e Jacques fatica a rassegnarsi.
Prima che la ragazza venga sepolta Jacques, aiutato dal suo amico medico, prende un calco in gesso di Francine e lei, per un istante, a causa del calore del gesso fuso, pare ancora viva. Ma è un'illusione.
Jacques si dà da fare per guadagnare tanto da dare a Francine una bella tomba, e intanto si mette al lavoro per modellare una statua d'angelo che abbia il volto di Francine, da collocare sulla sua tomba. È molto bravo, e non fatica a trovare nuove commissioni, anche se si tratta di cose commerciali che i puristi Bevitori d'Acqua non approverebbero. La gente comincia ad apprezzarlo, ma lui si dedica solo al lavoro e alla statua dell'angelo. Non può dimenticare la sua Francine.
Passa il tempo, è di nuovo primavera, sulla tomba di Francine sono sbocciati bellissimi fiori e Jacques lo prende come un segno dalla sua amata. Un segnale che voglia incoraggiarlo a vivere. Rodolfo gli suggerisce che è tempo d'innamorarsi di nuovo e Jacques desidera solo un'altra donna uguale a Francine.
A una festa di paese conosce Maria, che somiglia molto a Francine. La corteggia e i due diventano amanti. Ma Jacques si comporta in maniera strana, le regala un abito nero e pretende che lei lo porti sempre. E un giorno in cui lei si veste di rosa, Jacques si arrabbia, perché lui si illude di poter amare ancora Francine attraverso Maria, fingendo che la seconda sia ancora la prima. Ma le cose non così non funzionano mai. Qualcuno fa capire a Maria la verità: Jacques le sta facendo portare il lutto per Francine. La ragazza si offende e abbandona lo scultore. Per lui è la fine.
L'esaurimento lo porta ben presto all'ospedale, dove continua a lavorare al bozzetto della statua di Francine. Quando le forze lo abbandonano lui si rende conto che non potrà mai terminare la statua in marmo, ma dona quella in gesso alla cappella dell'ospedale. Il ragazzo infine muore e il padre, che non ha mai approvato la sua scelta di darsi all'arte, lesina perfino sul funerale. Jacques viene seppellito chissà dove in una fossa comune.
Il capitolo è spesso interrotto dai commenti dei lettori che si lamentano perché questa storia non fa per niente ridere. Ma l'autore li ammonisce: la bohème non può esser sempre divertente!

Capitolo 19 – I capricci di Musette

È il giorno successivo a quello in cui Marcello ha venduto il quadro, il celebre Passaggio del Mar Rosso. La sera prima assieme ai 150 franchi il rigattiere Medici ha anche offerto loro una lauta cena con abbondanti libagioni, e i quattro amici hanno a tal punto alzato il gomito che risvegliandosi adesso, a ora di pranzo, hanno completamente dimenticato gli eventi della serata e sono ancora convinti di non avere il becco d'un quattrino come il giorno precedente.
Ma quando Schaunard infila una mano nella tasca del soprabito e vi trova un'aragosta viva (frutto di un'incursione nelle cucine del ristorante la sera prima) e Marcello trova nelle proprie tasche i 150 franchi, tutto torna alla memoria. I quattro amici decidono di festeggiare immediatamente la loro inaspettata fortuna ordinando da mangiare e bere in abbondanza e acquistando carbone per il camino, che non vede fuoco da tempo.
In quella Marcello ritrova accidentalmente un vecchio biglietto scrittogli tempo prima da Musette. Povera cara: quanto freddo ha patito a causa sua! Nostalgico della sua bella (attualmente sono tutti da soli tranne Colline, la cui amante è una sartina destinata a rimanere perennemente nell'anonimato), Marcello le scrive una lettera in cui la invita a raggiungerlo per godere con lui dell'insolita fortuna e del festino di cibi e calore che questa fornisce: faccia con comodo, i quattro contano di non alzarsi da tavola per almeno una settimana!
Marcello consegna la lettera da portare a Musette al portinaio, pagandolo per il servizio. Questo, nel vedere che il pittore sembra avere parecchi soldi, corre ad avvisare il padrone di casa, che attende il pagamento di tre mesi d'affitto arretrati.
Musette non è sola, è a una festa assieme al suo nuovo, ricco amante, Maurizio. Ma nel leggere la lettera di Marcello decide di raggiungerlo subito, nonostante il suo uomo ne sia assai contrariato. Ma si sa, Musette ama solo Marcello ed è sempre pronta a raggiungerlo quando lui la chiama. Se solo fosse ricco rimarrebbe con lui, e gli altri devono farsene una ragione.
Lungo il cammino, però, comincia a nevicare e Musette decide di fermarsi a scaldarsi un attimo dalla sua amica Sidonie, in casa della quale si sta svolgendo una festa.
Intanto il festino dei quattro bohemien va avanti, mentre Marcello, trepido, è in continua attesa dell'arrivo di Musette, e gli altri non si spiegano il suo strano nervosismo. Qualcuno in effetti arriva, ma è il padrone di casa che pretende i suoi soldi. Marcello finge di volerglieli dare, anzi, intende pagare anche in anticipo i tre mesi seguenti. Gli mostra il denaro e intanto gli offre da bere, lo fa ubriacare al punto che quello diventa loquace, racconta barzellette sconce e confessa di avere un'amante, Eufemia, che mantiene e alla quale paga un appartamento ammobiliato. Mostra perfino loro una lettera appassionata scrittagli dalla ragazza. Quale non è la sorpresa di Schaunard quando scopre che questa Eufemia non è altri che la sua Femia!
Marcello si finge scandalizzato e perciò si rifiuta di pagargli l'affitto. Poco dopo arriva la cameriera del padrone di casa, inviata dalla moglie a vedere che fine abbia fatto il marito, e lo trova totalmente ubriaco intento a fare discorsi insensati a delle bottiglie vuote. Mentre lei lo aiuta a tornare a casa (il pover'uomo non si regge in piedi) Marcello e gli altri le spiegano che è piombato in casa loro già sbronzo e che ha cominciato a cianciare dicendo di volergli consegnare la ricevuta di sei mesi d'affitto (la ricevuta in effetti era già stata preparata) anche quando Marcello gli aveva detto di non aver denaro.
L'indomani il padrone vorrà sicuramente i suoi soldi, ma ormai i quattro sanno tutto di Femia, e di sicuro a lui non farebbe piacere che la moglie venisse a sapere che ha un'amante...
Ormai è notte; stanchi, satolli e ubriachi i quattro si addormentano. Marcello crede che Musette non abbia ancora ricevuto la sua lettera ma le arriverà sicuramente l'indomani, e chiude gli occhi pensando a lei. La ragazza intanto sta lasciando la festa di Sidonie assieme a Serafino, un bel ragazzo che ancora non conosce le arti amatorie... ma sta per apprenderle.
Passano cinque giorni e i soldi di Marcello finiscono. I quattro bohemien devono rassegnarsi a un misero fuocherello e a un'umile pasto a base di aringhe, patate e formaggio. In quella arriva, finalmente, Musette e si getta tra le braccia di Marcello. C'era un così bel fuoco, prima, e adesso fa freddo: lei è arrivata troppo tardi.
Ma ci sono cinque sedie, e una, sostiene Rodolfo, è così brutta che è meglio bruciarla. Il fuoco si rianima e i tre amici si allontanano per lasciare da soli i due amanti. Musette avrà almeno un giorno ancora da trascorrere col suo Marcello. Ventiquattr'ore dopo è già andata via, torna da Maurizio al quale spiega che la sua vita è come una canzone: ogni amante è una strofa, ma Marcello ne è l'unico, costante ritornello.

Capitolo 20 – Mimì ha delle piume

Dopo quasi due anni d'amore Mimì ha di nuovo lasciato Rodolfo e adesso sta col viscontino Paolo. Vive nel lusso, ormai, è sempre elegantissima e porta abiti sfarzosi e preziosi. Ed è così che la incontra Marcello, che le fa notare con pungente sarcasmo quant'è cambiata. Ma lei si giustifica: è stato Rodolfo a lasciarla sostenendo di non amarla più.
Lei ricorda bene l'ultima notte trascorsa insieme, con lui che appariva distrutto e non faceva che singhiozzare e mordere le lenzuola per impedirsi di gridare dal dolore, e lei che fingeva di dormire per resistere all'impulso di baciarlo e ricominciare tutto daccapo.
Rodolfo sta ancora soffrendo tanto? Mimì è ansiosa di saperlo.
No, in realtà sta benissimo. Marcello le spiega che già il giorno dopo la loro separazione Rodolfo appariva perfettamente calmo, e non era una calma ostentata ma reale. Era come se avendo pianto tutte le sue lacrime avesse ormai esaurito anche l'amore per Mimì, e adesso l'ha completamente dimenticata.
Mimì appare assai contrariata da questa notizia, ma è convinta che si tratti di una calma apparente.
Pochi giorni dopo Rodolfo è già innamorato di un'altra. Una bionda conosciuta a una festa in casa sua (il funerale del suo cuore, così l'ha chiamata) due giorni dopo la separazione con Mimì.
Anche a lui pare strano, ma sostiene di non riuscire più neanche a ricordare i lineamenti o la voce di Mimì, proprio lui che ha sempre avuto una memoria di ferro. Questo perché, ne parla con un suo amico poeta, gli artisti tendono a idealizzare la donna amata, e spesso quella che amano in realtà non è la vera donna, bensì l'idea che si fanno di loro, le illusioni che proiettano su di lei. E quando la donna amata se ne va è sufficiente proiettare quelle chimere su un'altra: in fondo è la chimera che loro amano, non la donna.
Quando viene a sapere della nuova fiamma del poeta, Mimì finge indifferenza: che gliene importa? Tanto lei Rodolfo non l'ha mai amato!
Ma Marcello non è d'accordo: anche se non lo sa, qualche volta lei ha davvero amato Rodolfo.

Capitolo 21 – Romeo e Giulietta

Una sera di novembre vede un Rodolfo straordinariamente elegante che attende una carrozza tra i viali di Parigi. È talmente raffinato, pulito e bello che tutte le donne si voltano ad ammirarlo e perfino Colline stenta a riconoscerlo. Eppure quel figurino che pare uno dei modelli illustrati sulla Sciarpa d'Iride è proprio il suo amico poeta. La sorpresa del filosofo è tale che impiega parecchio tempo a notare i dettagli più strani dell'abbigliamento di Rodolfo. Infatti il giovane porta tra le mani una scala di corde e una gabbia in cui svolazza un piccione.
Questo è troppo, Colline arde dalla curiosità e perciò Rodolfo acconsente a dargli spiegazioni invitandolo al caffè.
Rodolfo non dà spiegazioni sull'eleganza né sulle tasche piene di denaro, spiega però i motivi della scala e del volatile. Ha scoperto che la sua nuova fiamma si chiama Giulietta e perciò ha deciso di giocare con lei a Romeo e Giulietta. La scala di corda gli servirà per arrampicarsi fino al suo balcone, e il piccione dovrà sostituire l'usignolo che svegliò i due sventurati amanti (purtroppo non ha trovato un vero usignolo, ma il rivenditore gli ha garantito che anche il piccione si sveglierà cantando di prima mattina).
Il fatto che questa Giulietta abiti a un piano ammezzato rovina un po' l'effetto dell'arrampicata (la scala appare assolutamente inutile: per raggiungere il balcone basta un salto), ma Rodolfo, anzi, Romeo, non si perde d'animo e va avanti con la sua pantomima.
Il mattino dopo alle cinque il piccione comincia a gracchiare sorprendendo i due amanti che sono a letto ma non stanno dormendo. Dannata bestiaccia, è regolata male. Doveva cantare non prima di mezzogiorno!
Giulietta però si alza lo stesso, in barba alla scena patetica alla quale secondo programma dovrebbe abbandonarsi, perché ha fame. E così pure il suo Romeo. Cercano del cibo in casa ma trovano solo cipolle, lardo, burro e pane. E il piccione continua a cantare più irritante e fastidioso che mai.
Romeo guarda Giulietta, Giulietta guarda Romeo ed entrambi guardano il piccione, che gracchia ignaro del destino che l'attende.
Poco dopo il volatile non canta più, e Romeo e Giulietta sono intenti a mangiare piccione rosolato con lardo e cipolle. Nei loro occhi c'è una lacrima... ma è dovuta solo alle cipolle!

Capitolo 22 – Epilogo degli amori di Rodolfo e Mimì

L'amore tra Rodolfo e Giulietta è destinato a vita breve. Ben presto la ragazza si rende conto che lui ama ancora Mimì e che lei è solo un diversivo per dimenticarla. Perciò ben presto abbandona il poeta per dedicarsi ad altri e Rodolfo ricade in uno stato malinconico, nostalgico com'è della sua amata.
Il tempo placa un po' il dolore e un giorno Rodolfo si sorprende a essere di nuovo capace di scrivere, cosa che non riusciva più a fare da molto tempo. Compone perciò un poema dedicato al suo morto amore per Mimì, e il poema viene pubblicato su una rivista.
Mimì lo vede e desidera acquistare la rivista, ma il visconte Paolo, geloso, si rifiuta di comprargliela. Lei perciò decide di farlo con soldi propri, va a lavorare per due giorni come fioraia, compra la rivista, impara a memoria la poesia e prende a recitarla spesso, irritando non poco il visconte.
È il 24 dicembre e tutta Parigi si appresta a celebrare la vigilia di Natale con cenoni degni di tale nome. Tutti tranne Rodolfo e Marcello. I due amici adesso vivono insieme in un bilocale e, tanto per cambiare, sono al verde. Marcello riesce a farsi prestare un po' di denaro da un conoscente giocatore d'azzardo e i due riescono a procurarsi non la gloriosa oca farcita adocchiata in rosticceria, ma almeno pane, vino, un po' di salumi, tabacco, candele e legna per il camino.
Però una volta a casa nessuno di loro riesce a toccare cibo, sono troppo presi dalla malinconia e dai ricordi delle rispettive ex amanti. Ma Marcello non ne può più. È stanco di quella malinconia e di quella vita da parassita che non gli permette di essere indipendente ma lo costringe a fare affidamento sulla fortuna e sulla pietà di gente che spesso neppure rispetta. È ora di cambiare, dice, di porsi delle mete prima di arrivare ai trent'anni e rendersi conto di non aver realizzato nulla nella vita. Non si può vivere da giovani spensierati per sempre. E poi chi l'ha detto che non si possa fare arte (e farla bene) anche con la pancia piena, i piedi caldi e il portafogli ben rifornito?
Perciò Marcello decide di dare immediatamente una svolta alla sua vita, per prima cosa prendendo coscienza del fatto che con Musette è davvero finita. Brucia tutti i ricordi che gli rimangono della ragazza e incoraggia Rodolfo a fare altrettanto coi ricordi di Mimì. Però ognuno di loro salva, nostalgicamente, un oggetto: Marcello un bouquet di violette, ormai secco, che Musette portava alla cintura e Rodolfo nasconde la cuffietta da notte di Mimì.
Proprio in quel momento qualcuno bussa alla porta: è Mimì. Ma quant'è cambiata! È sciupata, smagrita, sembra lo spettro di se stessa. È venuta a chiedere ospitalità perché ha appena ricevuto lo sfratto e non sa dove andare. Ma come, e il visconte? Oh, lui l'ha abbandonata due mesi prima, geloso e arrabbiato a causa della poesia di Rodolfo, ma a lei non importa: non aveva mai amato il visconte. Da allora Mimì non ha avuto più amanti, è sempre vissuta da sola lavorando come fioraia e modella per pittori (ma non posa nuda, è modella solo per la testa e per le mani). Ma le cose vanno male, i soldi scarseggiano e lei è allo stremo, tanto che fatica anche a reggersi in piedi.
Marcello e Rodolfo decidono di dividere con lei la cena e la ospitano in casa cedendole la stanza di Rodolfo, che invece dormirà con Marcello.
Il poeta è parecchio turbato dallo stato della ragazza, e decide di non raggiungerla in camera per rappacificarsi con lei, come gli suggerisce di fare l'amico.
Il mattino dopo però Rodolfo non è più nel suo letto e Marcello capisce che nottetempo ha raggiunto Mimì. Ma le cose non stanno come pensa lui all'inizio. È stata una notte assai triste per Rodolfo e Mimì, che non hanno fatto che piangere e ricordare i bei tempi felici ma ormai passati per sempre. Rodolfo ha dormito seduto su una sedia con la testa sul cuscino di Mimì, e la ragazza probabilmente non ha dormito affatto.
Perché Mimì è malata, ed è molto grave. La vita di stenti degli ultimi due mesi hanno minato la sua salute; la fame, il freddo e un tentato suicidio mediante veleno l'hanno devastata. Sa che le resta poco da vivere, e il dottore chiamato al suo capezzale (amico di Rodolfo, lo stesso che aveva curato Francine) conferma l'infausta diagnosi. Mimì ha poche speranze di cavarsela, e le ha solo venendo ricoverata in sanatorio. Per aiutarla raggranellando un po' di denaro Schaunard vende i suoi indumenti pesanti e Colline alcuni dei suoi libri (avrebbe preferito vendersi piuttosto una gamba o un braccio, peccato che nessuno volesse quegli articoli!), la ragazza trascorre un'ultima serata di “festa” in casa di Marcello e Rodolfo assieme ai suoi amici sforzandosi di essere allegra. Quel che più la rattrista è dover perdere Rodolfo proprio ora che si è resa conto di amarlo davvero, e si rammarica di non essere stata in grado di afferrare la felicità con lui quando l'ha avuta a portata di mano.
Il giorno dopo viene ricoverata in sanatorio, allora comprende che da lì non ne uscirà mai viva e la sua disperazione è straziante.
I giorni di visita sono la domenica e il giovedì, e Rodolfo va a trovarla quando può. Un giorno però riceve un telegramma dal suo amico medico: Mimì è morta. Rodolfo prova una vaga malinconia ma, con sua grande sorpresa, non è devastato dal dolore come si aspetterebbe. Allora è vero, il suo amore per Mimì è davvero esaurito!
Otto giorni dopo, però, incontra in strada l'amico medico che gli dice che c'è stato un errore. Lui era stato assente dall'ospedale per qualche giorno e intanto Mimì era stata spostata in un altro reparto. Insomma, la morta era un'altra e Mimì è ancora viva. Perciò al seguente giorno di visita Rodolfo si precipita in ospedale, ma gli viene incontro l'amico medico: faccia conto che il telegramma era vero, perché Mimì è morta effettivamente qualche ora prima. E siccome nessuno ne ha reclamato il corpo è stata portata via per essere sepolta in una fossa comune. Rodolfo non potrà più neppure dirle addio.

Capitolo 23 – La giovinezza non ha che un tempo

È trascorso un anno da quel fatidico Natale e tutto è cambiato fra i quattro amici del Cenacolo della Bohème. Marcello è finalmente riuscito a far accettare due suoi quadri al Louvre e si sta affermando come pittore, per cui ha saldato i debiti e ora ha una casa e delle rendite regolari. I lavori letterari di Rodolfo stanno acquistando una certa notorietà e anche le sue condizioni economiche sono fiorite, Schaunard ha composto canzoni di successo e ora è un acclamato compositore e Colline ha ricevuto una ricca eredità e ha contratto un matrimonio vantaggioso, perciò anche per lui le cose si sono messe bene. Insomma, adesso sono tutti e quattro “sistemati” e i problemi economici e la vita da scapestrati sono solo un ricordo del passato.
Un giorno Marcello si presenta in casa di Rodolfo per raccontargli una novità sensazionale: il giorno prima ha rivisto Musette. La ragazza sta per sposarsi, col direttore di un ufficio postale.
Ma prima di convolare a nozze ha deciso di trascorrere un'ultima settimana da bohème, e fra le cose che voleva fare era stare per l'ultima volta con Marcello.
I due avevano trascorso insieme la notte precedente, ma con loro grande sorpresa si erano resi conto che non c'era più passione né attrazione: insomma, il loro amore è veramente finito, e stavolta per sempre.
Rodolfo e Marcello vanno assieme al ristorante, ormai non hanno più problemi a permettersi simili lussi. La giovinezza è finita per loro, ma adesso almeno la vita è più comoda.

FINE

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lunedì, dicembre 27, 2010

La principessa Brambilla

La principessa Brambilla - di E.T.A. Hoffmann

1) Siamo a Roma, tra fine Settecento e i primi dell'Ottocento, durante il carnevale. Giacinta Soardi sta finendo di cucire un abito bellissimo che però non è per lei, perché lei è una giovane sarta e fare abiti per altri è il suo mestiere. Il suo datore di lavoro, il sarto mastro Bescapé, le ha commissionato quel vestito stupendo destinato a una principessa o a una gran dama, un abito rosso di seta pesante decorato con gemme e pietre preziose. Giacinta è triste perché lei invece per il carnevale dovrà accontentarsi del costume dell'anno prima e non potrà mai permettersi un vestito bello e regale come quello che sta cucendo, anche perché il suo fidanzato, Giglio Fava, è un attore da quattro soldi che non naviga certo nell'oro e non può offrirle più di tanto. La vecchia Beatrice, la sua governante, cerca di tirarla su di morale ricordandole quant'è giovane e graziosa, ma con scarso successo. Giacinta, presa dallo sconforto, si punge un dito con l'ago e delle gocce di sangue cadono sul vestito. Presa dal panico, Beatrice controlla da vicino l'abito con una lampada e finisce con lo schizzarci su anche dell'olio. Ma osservando per bene, alla luce, il vestito appare privo di macchie e Giacinta non resiste alla tentazione, così si prova il vestito e scopre che le sta alla perfezione come se fosse stato cucito su misura per lei. Arriva Giglio, e resta ammutolito davanti alla bellezza di Giacinta. Intanto lo conosciamo come attore scadente ma molto presuntuoso e vanesio. Lui è un “primo amoroso”, recita cioè le parti del giovane protagonista, eroe di tante tragedie manierate e patetiche alla moda, tutte scritte dall'Abate Chiari, maestro in quest'arte. Indossa abiti da principe, che in realtà sono costumi di scena, stinti e malandati, però lui si sente affascinante e splendente quasi fossero vere vesti regali. Nel vedere Giacinta abbigliata come una principessa, Giglio erompe in un lungo monologo di lodi (perché lui non riesce a smettere di recitare, neppure nella vita di tutti i giorni) che ha il solo risultato di far infuriare la ragazza: dunque lui la ammira solo per i bei vestiti e non per lei stessa? Il giovane cerca di discolparsi. Il motivo per cui è tanto stupito nel vederla così abbigliata è che proprio quella notte lui ha fatto uno strano sogno in cui, tra varie maschere della commedia dell'arte quali Pulcinella e Truffaldino, gli compariva una bellissima principessa che portava un abito identico a quello. Giacinta s'infuria ulteriormente: e così lui osa sognare altre donne? Giglio supplica e si prostra e alla fine riesce a farsi perdonare, ma poi la sua boria ha il sopravvento. Può ben capire, dice, che Giacinta sia tanto gelosa, dal momento che un attore come lui è una vera tentazione per ogni fanciulla di Roma, le donne, sostiene Giglio, gli cascano ai piedi a frotte e perfino una principessa orientale di recente ha perso la testa per lui. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, Giacinta, decisamente furibonda, lo manda via in malo modo dicendogli di andarsene dalla sua principessa, e anche Beatrice non può far altro che consigliargli di non farsi vedere per un po', perlomeno fino a che a Giacinta non sarà passato il malumore (e qui c'è un discorso sulle “smorfie”, i capricci e i bronci stizzosi di tante giovani fanciulle italiane che risultano estremamente affascinanti per certi uomini e assolutamente incomprensibili per altri, specie se stranieri).
Giglio si allontana con la coda tra le gambe, ma l'autore ci avverte di essere comprensivi con lui: se è d'animo tanto esaltato è perché proprio quel giorno gli è capitata un'avventura straordinaria e perciò anche adesso non può smettere di sognare a occhi aperti. Era in via Condotti ad ascoltare il celebre ciarlatano signor Celionati, che vendeva le sue solite pozioni miracolose, quando era arrivato un portentoso corteo che aveva lasciato gli astanti a bocca aperta. In questo corteo c'era di tutto: unicorni, musici, paggi con corpetti di piume, dame velate che facevano il tombolo in groppa a muli bianchi come la neve, struzzi che trainavano un tulipano d'oro al centro del quale sedeva un venerabile vecchio dalla lunga barba bianca che leggeva da un gran libro, e più di tutti una carrozza tutta di specchi, in cima alla quale sedeva un delizioso, piccolo Pulcinella, e bastava guardarla perché la gente, vedendosi riflessa in quella carrozza, pensasse di esservi seduta dentro e cominciasse a darsi arie da re o da regina. Il corteo si era diretto verso Piazza Navona, poi era entrato e sparito all'interno di Palazzo Pistoia. A quel punto Celionati aveva cercato di spiegare al buon popolo cos'era quella cosa fantastica che aveva appena visto. Si trattava nientemeno che del corteo della bellissima principessa orientale Brambilla, che era ospite con tutto il suo seguito del principe Bastianello da Pistoia, proprietario del palazzo e noto al pubblico romano per le sue frequenti facezie e per la sua saggezza magica. Brambilla, continua Celionati, è a Roma per ritrovare il suo fidanzato, il principe assiro Cornelio Chiapperi. Cornelio era andato a Roma per farsi cavare un dente proprio da Celionati ma una volta nell'Urbe aveva perso sé stesso facendo smarrire le proprie tracce. Per questo la principessa Brambilla offriva una lauta ricompensa a chiunque sapesse fornirle indizi per ritrovare l'amato bene. Detto questo, il buon ciarlatano aveva preso a vendere riproduzioni del dente estirpato al principe nonché occhiali speciali per riuscire a riconoscerlo tra la folla. Una volta allontanata la gente, Celionati aveva avvicinato Giglio, comprendendo che il giovane era rimasto particolarmente turbato dalla visione del corteo, e soprattutto dal pensiero della bellissima Brambilla, e gli aveva offerto gli occhiali speciali, grazie ai quali l'attore era stato in grado di lanciare un'occhiata all'interno di Palazzo Pistoia. Era chiaro che ormai il ragazzo non desiderava altro che incontrare la principessa Brambilla, e per farlo Celionati gli aveva consigliato di presentarsi l'indomani sul Corso con indosso l'abito più stravagante che riuscisse a immaginare: solo così avrebbe potuto farsi riconoscere dalla principessa.
E l'indomani effettivamente Giglio si abbiglia da maschera ridicola e stravagante per prepararsi all'incontro con la principessa, ma la sua vanità ha il sopravvento: lui ha bellissime gambe e gli secca nasconderle sotto pantaloni sformati e brutti, così si veste da buffone solo fino alla cintola, poi mette pantaloni attillati e calze e scarpe che mettano in evidenza i suoi bei polpacci, quindi se ne va sul Corso pronto alla sua conquista. O almeno così crede.
Tra la folla in costume da carnevale del Corso, Giglio corre su e giù alla ricerca di Brambilla, quando incontra una curiosa maschera, a metà tra Pantalone e Pulcinella, che lo riconosce come il principe Cornelio Chiapperi. Costui lo abbraccia festosamente e gli offre un sorso di cordiale preso da una piccola damigiana che porta al fianco. Come fa per aprire la bottiglia, da questa si sprigiona un vapore rosso che assume le sembianze eteree della bellissima Brambilla. Ma quando Giglio, preso da rapimento amoroso, le chiede di comparirgli in carne e ossa affinché lui possa abbracciarla, una voce lo insulta e gli dà dell'impostore, perché con quei calzoni e quelle calze da vanesio non può certo essere il vero Cornelio.
Giglio però non riesce a capire chi l'abbia insultato, perché questo si è già dileguato tra la folla e anche Pantalone e la sua damigiana sono stati inghiottiti dalla confusione.

2) A questo punto l'autore comincia a scusarsi col lettore se la sua storia fin qui può sembrare folle e priva di costrutto, però rammenta che ci sono momenti in cui i sogni e le visioni possono avere un tale potere nella nostra vita da farci dimenticare tutto, perfino le più banali regole della buona educazione. E questo sta succedendo adesso a Giglio: lui è così rapito dalla visione della principessa Brambilla che il cercarla e il sognarla è più importante delle necessità della vita reale. Al punto che anche quando è in scena spesso dimentica la sua parte e invece dei panegirici che dovrebbe declamare si infervora in descrizioni della sua amata, tanto che alla fine l'impresario del teatro dove lavora si stufa e lo licenzia su due piedi. Dapprima Giglio non se ne cura, ma pochi giorni dopo, quando si trova affamato e senza più un soldo, le necessità della vita reale cominciano a prendere il sopravvento sulla sua visione eterea. Per prima cosa, se la prende con Celionati: è stato lui a ficcargli in testa l'idea che la principessa Brambilla potesse ricambiare il suo amore, perciò è tutta colpa sua.
Poi si ricorda di Giacinta, la sua dolce fidanzata che lui ha tanto ingiustamente abbandonato per inseguire un sogno. Preso da rimorso, si precipita da lei, ma a casa di Giacinta non c'è nessuno. Giglio piange e si dispera, e quando il signor Pasquale, padrone di casa di Giacinta, arriva a vedere cos'è capitato e gli dice che la ragazza non abita più lì, Giglio è preso da una furia cieca e aggredisce il signor Pasquale per farsi dire dov'è adesso Giacinta. Il signor Pasquale non glielo dice, ma chiama aiuto e un servitore arriva a gettare in strada il povero Giglio.
Il povero attore, senza più saper che fare, vaga per le vie e per forza d'abitudine si reca al Teatro Argentina, dove aveva lavorato fino a pochi giorni prima. Qui scopre che l'impresario ha abbandonato le tragedie alla moda, che non gli fruttavano più, ma ha preso a dare rappresentazioni comiche, molto più redditizie. Giglio s'illude che le tragedie non rendano più a causa della sua scomparsa dalle scene e l'impresario non nega, ma neanche conferma. Però gli regala un biglietto per la rappresentazione del giorno. Mentre attende che cominci, il ragazzo vaga tra il pubblico e origlia una conversazione tra due spettatori che parlano di lui. Uno lo denigra senza mezzi termini per la sua recitazione ridicola e ostentata, l'altro gli concede delle attenuanti. Ormai, dice, tutti sanno che Giglio è impazzito per amore della principessa Brambilla, ma Giglio non sa che lei non lo ha abbandonato e che, anzi, proprio ora gli ha infilato in tasca un borsellino pieno di ducati d'oro. I due spettatori scompaiono tra la folla e Giglio automaticamente si mette una mano in tasca, e vi trova un borsellino pieno di tintinnanti ducati d'oro. Si sente improvvisamente come un burattino manovrato da altri, da forze che non conosce, ma poi pensa che si tratti di un trucco di Celionati, che probabilmente si sente in colpa per avergli fatto perdere il lavoro. Contento per essere riuscito a riportare il tutto su un piano razionale, Giglio si appresta a seguire la pantomima comica, che altro non è che una delle solite avventure di Arlecchino e Colombina, che però si conclude con un corteo identico a quello visto in via Condotti. Turbato, Giglio si reca in un caffè per mangiare finalmente un piatto di maccheroni al dente e si accorge che sul borsellino c'è ricamata la frase “non dimenticare la tua immagine eterea”, quando incontra un Ballanzone che gli dà del traditore: è la vecchia Beatrice, in maschera, che gli racconta di come la povera Giacinta sia stata arrestata perché mastro Bescapé l'ha denunciata per aver macchiato di sangue il vestito che avrebbe dovuto cucire per la principessa Brambilla. È mezzanotte, ma Giglio non perde tempo e decide di correre da mastro Bescapé per pagare, coi ducati che ha in tasca, il vestito rovinato e liberare Giacinta. Però nella sua foga ha dimenticato di chiedere a Beatrice dove trovare Bescapé.
Lo cerca disperatamente per le vie di Roma, urlando come un forsennato, e lo trova, ma viene preso per matto dal sarto e sottoposto a salasso, finché non sviene. Nel deliquio sente la principessa Brambilla che gli parla con dolci parole. Il mattino dopo si risveglia in casa del sarto e chiede spiegazioni a Bescapé: perché ha fatto imprigionare Giacinta solo perché ha macchiato, anzi, santificato l'abito col suo sangue? Ma Bescapé è ignaro di tutto: non sa nulla di macchie, di prigioni, ancor di più, lui non ha mai commissionato a Giacinta un abito del genere! Evidentemente Beatrice l'ha solo preso in giro.
Giglio si allontana sempre più confuso. E incontra Celionati, che gli svela come lui quella notte abbia dormito sotto lo stesso tetto della sua amata. Giglio alza lo sguardo e vede Giacinta affacciarsi alla finestra di casa Bescapé. È ancora arrabbiata, e Giglio pensa che le passerà. Ma Celionati dice di no: così come lui è andato dietro alla principessa Brambilla, anche Giacinta ha un suo pretendente: un principe bello e imponente che le fa la corte.
Giglio sulle prime s'infuria, se ne va via di malumore, poi sul Corso incontra alcuni amici e prende a gozzovigliare con loro. Abbandonandosi alla baldoria decide di completare il suo costume carnevalesco, va a cambiarsi indossando un costume decisamente ridicolo, e torna sul Corso. Ma nei pressi di Palazzo Pistoia incontra Giacinta, o meglio, una deliziosa fanciulla abbigliata con lo splendido vestito rosso con cui aveva visto Giacinta. Cerca subito di fare il galletto (dimenticando l'abito ridicolo che porta) per attirare la sua attenzione, ma la donna lo tratta con disprezzo.
Giglio comincia seriamente a pensare d'esser pazzo. Però in quel momento giunge un corteo festante di gente in maschera e Giglio si unisce a loro, sperando di ritrovare la maschera con la damigiana che gli aveva fatto intravvedere la principessa Brambilla.

3) Ci troviamo al Caffè Greco e Celionati sta parlando con alcuni studenti tedeschi della differenza tra umorismo italiano, esagerato e roboante, e umorismo tedesco, molto più controllato e metaforico, ma alla fine il ciarlatano s'infuria reputando i giovani incapaci di riconoscere la verità. Lui stesso afferma di trovarsi in realtà altrove. Gli studenti, intuendo che sta per scapparci un racconto, lo incitano a continuare, e Celionati racconta la storia di Re Ofioch e della regina Liris così come l'ha sentita dal suo amico, il negromante Ruffiamonte.
Tanto tempo fa nel prospero regno di Urdar regnava il re Ofioch, che però era tanto malinconico e questa sua malinconia gravava su tutto il regno. Nessuno ne capiva niente, men che meno i ministri, che pensarono di curare il re dandogli una sposina buona, bella e allegra. La trovarono nella principessa Liris, figlia di un re vicino. La principessa Liris, al contrario del re Ofioch, era sempre allegra, ma d'una allegria fasulla di cui nessuno riusciva a capire la causa. Qualunque cosa capitasse, lei rideva sempre, come se non vedesse nulla di quel che le succedeva davanti agli occhi. Le nozze vennero celebrate, ma non portarono i miglioramenti sperati, il re era sempre più cupo e la regina non faceva che fare merletti al tombolo con le sue dame ridendo e irritando oltremodo il consorte. Un giorno, mentre era a caccia, re Ofioch per errore colpì con la sua freccia il mago Ermodio, che era in cima a un'alta torre nel fitto di un bosco e immerso in un sonno millenario. Il re pensò d'essere spacciato, ma invece Ermodio lo ringraziò per averlo destato dal lungo sonno. Disse che finalmente sarebbe tornato nell'Atlantide, ma che dopo tredici lune gli avrebbe lasciato un dono che avrebbe reso felice lui e la regina Liris: un cristallo. Perché il pensiero uccide l'intuizione, ma l'intuizione sarebbe tornata a splendere come figlia del pensiero. Re Ofioch però non ne trasse alcun giovamento e, più cupo e mesto che mai, fece iscrivere su una lapide la frase “il pensiero distrugge l'intuizione” e si mise a contemplarla meditandoci su notte e giorno. Un giorno la regina Liris capitò nella stanza dove re Ofioch meditava e, vista la lapide, smise di ridere e si sedette accanto a lui. Immediatamente i due regali consorti si addormentarono, ma il consiglio di stato riuscì a organizzare le cose in modo che nessuno si accorgesse che il monarca dormiva.
Tredici lune dopo, come aveva detto, il mago Ermodio tornò a Urdar con una stella scintillante che, fondendo gli spiriti elementali della terra, dell'aria, dell'acqua e del fuoco, trasformò in un meraviglioso specchio d'acqua. Il re e la regina si destarono, corsero alla fonte, vi si specchiarono e cominciarono a ridere. Non d'una risata vuota com'era stata quella di Liris, ma d'una risata schietta che è benessere interiore.
I due regali ammisero d'essersi persi in passato, ma ora si erano ritrovati. Tutti quelli che guardavano nella fonte se erano tristi e oppressi si rallegravano, se erano già allegri rimanevano uguali. L'acqua venne esaminata, me gli esperti dissero che era acqua normalissima senza alcuna proprietà, ma che poteva essere pericoloso vedersi specchiati a testa in giù perché poteva far perdere l'equilibrio. Alcuni esperti arrivarono addirittura a negare l'esistenza della fonte, ma re Ofioch e la regina Liris furono per sempre grati al mago Ermodio per quel dono.
Quando Celionati tace, gli studenti prendono quella storia per una favola, una metafora sul senso dell'umorismo, ma il ciarlatano s'offende affermando che è tutto vero, e che il vecchio nel tulipano alla parata altri non è che il mago Ermodio (ovvero Ruffiamonte) in persona.
Nel frattempo Giglio, che ha continuato a percorrere il Corso in cerca della principessa Brambilla, s'imbatte in due ballerini. Lui suona la chitarra e lei danza suonando le nacchere. Il ballerino è identico in tutto e per tutto a Giglio, qualcuno dice che la ballerina è la principessa Brambilla che danza col suo innamorato, il principe assiro Cornelio Chiapperi.

4) L'autore fa un elogio al sonno, ma soprattutto al sogno che allontana dai nostri petti gli affanni dell'opprimente realtà. Ed è solo così che può descrivere quel che prova Giglio allorché vede i due ballerini e scopre chi sono. E si ritrova come un famoso psicologo tedesco che, in stato d'ebrezza, ruzzola giù dalle scale e pensa che a cadere sia stato il suo segretario. Perciò Giglio pensa di essere il principe assiro Cornelio Chiapperi che suona la chitarra, e intanto fronteggia il suo Io. La principessa Brambilla è scomparsa, ma lui afferra la spada e colpisce la chitarra dell'altro. Nel capitombolo gli cadono gli occhiali, la gente lo riconosce ma lui scappa via e si ritrova davanti a Palazzo Pistoia. E qui incontra l'abate Chiari (che l'autore spaccia come un parente di quello vero, il drammaturgo nemico di Carlo Gozzi). Costui è un autore di tragedie (quelle solitamente recitate da Giglio) alla moda, affettate e pompose al punto d'essere involontariamente ridicole (cosa di cui lui, ovviamente, non è consapevole). L'abate si lamenta del fatto che l'impresario gli abbia preferito la commedia e la farsa, ma medita vendetta preparando un tregedione coi fiocchi: il Moro Bianco. Il protagonista ideale sarebbe proprio Giglio. Trascina perciò il ragazzo in casa propria per recitargliene i brani salienti, ma Giglio, che in passato si era esaltato per le opere di Chiari, improvvisamente se ne trova stufo e si addormenta. L'abate s'offende, ma poi ritiene che le mancanze di Giglio siano opera di un oscuro piano del principe Bastianello da Pistoia, uomo stravagante e portato alla burla, che per questo è sempre stato suo nemico. Tanto fa e tanto dice che riesce a convincere Giglio della bontà della sua tesi.
Il giovane, convinto d'aver ritrovato il senno, si mette in testa di studiarsi la parte per riavere il lavoro e ripresentarsi da Giacinta a testa alta. Il mattino seguente si veste al suo meglio e si reca da mastro Bescapé, dove aveva visto la fanciulla per l'ultima volta. Ma questo nega che la ragazza abbia mai alloggiato sotto il suo tetto. Perciò Giglio corre alla vecchia casa, e trova la vecchia Beatrice che ha appena fatto la spesa e vi si sta recando con sporte piene di provviste: sì, dice, Giacinta abita lì come sempre, anche se ancora per poco. Le due aspettano visite, ma Giglio può fermarsi per pranzo, a Giacinta farà piacere.
La sartina accoglie l'attore con un sorriso. Gli conferma che così come lui, da attore, è attraente per le fanciulle, così pure lei, da sartina, è allettante per i gentiluomini. E perciò ora c'è un gran principe che le fa la corte ed è intenzionato a sposarla, e che questo principe è prodigo nel farle doni (gli mostra un borsellino identico a quello che Giglio si era ritrovato in tasca, sempre pieno di ducati d'oro). Anche Giglio afferma di essere in procinto di sposare la principessa Brambilla, e perciò fra poco anche le sue fortune muteranno. I due chiacchierano affabilmente, senza provare rancore ma anzi, complimentandosi per le reciproche fortune. Giacinta afferma che l'ospite atteso era proprio Giglio, lui le racconta della nuova parte ottenuta nella tragedia dell'abate Chiari e i due pranzano insieme mangiando e bevendo allegramente, ricordando i bei tempi andati e sperando di buttarsi alle spalle le miserie patite. I due sperano di trovarsi in regni vicini, ma quello del principe di Giacinta è dalle parti di Bergamo e quello della principessa di Giglio è nelle vicinanze della Persia. Giglio e Giacinta decidono di spostare i rispettivi, futuri regni in zona Frascati, quindi si separano da buoni amici.

5) Giglio è ormai convinto d'aver riacquistato tutto il suo intelletto e pensa di saper bene quale sia la verità: ovvero che la bella principessa Brambilla sia innamorata di lui e voglia sposarlo, ma che il perfido Celionati si sia fatto beffe di lui scombinandogli i piani. Ma ora lui ha ritrovato il buonsenso, e sta anche per essere protagonista dell'ultima tragedia dell'abate Chiari. É evidente, pensa, che la principessa l'ha visto recitare e s'è invaghita di lui. Adesso spetta a lui la prossima mossa, andare da lei. Ma intende andarci in modo dignitoso, con un abito che si confaccia al suo rango di futuro principe. E perciò si reca da mastro Bescapé a reclamare l'abito più lussuoso che abbia.
All'inizio Bescapé non vuole vendergli l'abito, sostenendo che è stato fatto espressamente per il principe Cornelio Chiapperi, ma quando Giglio afferma d'essere lui quel principe, e a conferma di ciò gli sventola sotto il naso il borsellino carico di ducati, Bescapé non può più tirarsi indietro e gli cede l'abito, che è veramente sontuoso, carico com'èdi fronzoli e piume.
Giglio indossa il vestito e senza ulteriori indugi va a Palazzo Pistoia, i cui portoni magicamente si spalancano davanti a lui.
Al Palazzo non c'è nessuno ad accoglierlo e Giglio vaga per un po', finché non giunge in una grande sala dove il venerabile vecchio nel tulipano d'oro sta leggendo una storia per le dame che lavorano al tombolo. E lì si ferma ad ascoltare.
La storia è il seguito di quella del re Ofioch e della regina Liris. Quattro vecchi saggi andarono alla torre del mago Ermodio per risolvere un nuovo problema, perché un giorno il re si era alzato e aveva detto “Il momento in cui un uomo cade è quello in cui il suo vero Io s'innalza”, e lì era caduto ed era morto. E la regina Liris con lui. E i due erano morti senza dare discendenza, anche se il consiglio di stato era riuscito a far muovere i due monarchi come marionette in modo che nessuno si accorgesse che erano morti. La cosa grave era che ora la fonte di Urdar non rendeva più felici le persone, ma le faceva diventare irose. E un giorno, cosa anche più grave, il sostegno di re Ofioch si era rotto e tutti si erano accorti che lui era morto, perciò ora bisognava proprio trovare un successore. Il mago Ermodio aveva detto di attendere nove volte nove notti e dalla fonte sarebbe arrivata una nuova regina di Urdar. Loro attesero, e a quella data la fonte si prosciugò ma da lì nacque una deliziosa bimba, la principessa Mistilis. I saggi l'accudirono, ma quando fu in età da parlare lei cominciò a parlare una lingua sconosciuta. Disperati, i saggi tornarono da Ermodio che, furibondo, disse loro di cercare sotto una pietra nera nella camera dove dormirono gli augusti sposi, e che poi si sarebbe levato un uccello che avrebbe dovuto essere preso da reti tenui tessute da esili mani. I saggi accorsero nel luogo indicato, vi trovarono uno scrigno che consegnarono alla principessa Mistilis. Nello scrigno c'era l'occorrente per lavorare al tombolo, e la principessa cominciò subito a lavorarci, e per la prima volta disse frasi comprensibili. Ma subito dopo si irrigidì e cominciò a rimpicciolirsi fino a diventare una piccola bambola di porcellana. I ministri si disperarono, e tanto piansero che comparve il mago Ermodio. Costui spiegò che quello incontrato prima altri non era che il maligno, che aveva preso le sue sembianze e li aveva ingannati, me che con merletto tessuto da squisite mani femminili avrebbero davvero potuto catturare l'uccello variopinto sciogliendo l'incantesimo.
A questo punto il vecchio smette di leggere, ma le dame che stanno lavorando al tombolo si accorgono della presenza di Giglio. C'è un gran trambusto, ma alla fine un gran merletto viene gettato e Giglio, spaventato, viene catturato da quel merletto e rinchiuso in una gabbia, e la gabbia viene appesa in mezzo a una grande finestra da dove lui può guardare in strada. Però non c'è nessuno a cui chiedere aiuto perché sono tutti all'osteria.
Giglio urla e si dispera ma alla fine qualcuno lo sente: è Celionati. Questo gli spiega che, col vestito tutto piume che indossa, Giglio è stato scambiato per un uccello, e per la precisione per un pappagallo. Però lo aiuta a scappare. Giglio corre a casa, si strappa di dosso i vestiti appariscenti, si rimette la maschera da Pantalone e corre sul Corso. E qui incontra una bella ragazza che suona il tamburello e prende a danzare con lui.

6) Giglio e la ballerina danzano insieme, sempre più rapiti dall'ebrezza della musica. La ragazza ovviamente è la principessa Brambilla, e Giglio è preso da una tale estasi amorosa che a un certo punto gli pare di svenire tra le braccia della principessa. Però le braccia che lo accolgono quando lui infine cede sono quelle di Celionati.
Giglio si sente vagamente spossato e Celionati si offre di riaccompagnarlo a casa, a Palazzo Pistoia. Perché lui, ovviamente, è il principe Cornelio Chiapperi, ed è ancora vittima di strani disordini. I due vengono serviti da un piccolo Pulcinella, servitore del principe. Giglio lamenta che la sua principessa Brambilla si sia invaghita d'un rozzo commediante di nome Giglio Fava e medita vendetta. Celionati gli dà manforte. La scena si conclude con i due che pasteggiano e Giglio che promette di ammazzare Giglio.
La scena successiva si apre sul Corso, con l'apparizione di una curiosa maschera identica a quella indossata da Giglio la prima volta (cioè buffa fino alla cintola ed elegante per il resto), che s'imbatte in un curioso Brighella/Pantalone. I due si sfidano a singolar tenzone a colpi di spada di legno. La lotta è lunga e i due sono tanto eroici e cavallereschi che tra un assalto e l'altro si abbracciano fraternamente, ma alla fine Capitan Pantalone vince e ammazza Giglio, il cui cadavere viene portato in trionfo dalla folla festante.
Intanto la vecchia Beatrice ce l'ha a morte col Celionati che ha messo stambe idee in testa alla sua Giacinta. Figurarsi, che la ragazza sostiene che il principe assiro Cornelio Chiapperi la visiti quotidianamente trasformando la sua umile casetta in una reggia splendente, quando Beatrice non vede proprio nulla ed è convinta che non esista nessun principe.

7) Altra scena. Siamo al Caffè Greco. L'abate Chiari e l'impresario del Teatro Argentina avvicinano un giovane dignitoso che sta consumando il suo pasto in solitudine e si rivolgono a lui come a Giglio Fava, chiedendogli ragioni della sua scomparsa. Il giovane afferma di non essere quel Giglio che loro dicono, il quale purtroppo è morto, e per sua stessa mano, e quando Giglio era morto si è trovato che il corpo non era altro che un fantoccio pieno dei versi dell'abate Chiari, ed era stato questo a causare la morte.
L'abate si risente per queste insinuazioni, ma viene celermente buttato fuori dal locale assieme all'impresario.
Ed ecco che ricompare Celionati, che il giovane ringrazia pregandolo di non svelare il suo segreto.
Quando il ragazzo si allontana, però, gli studenti tedeschi pretendono di ascoltare il seguito della storia di re Ofioch e delle regina Liris. Celionati s'arrabbia dicendo che questo è già stato raccontato da Ruffiamonte a Palazzo Pistoia e che lui certamente non vuol raccontare due volte la stessa storia, ma che preferisce narrare del problema del suo assistito, che loro hanno appena visto, e che soffre di dualismo cronico. Porta l'esempio di due principi gemelli siamesi attaccati per il didietro, i cui sudditi non riuscivano mai a comprenderne le intenzioni. E qui si ha un caso ancor più grave in cui il principe pensa “di traverso”, e il risultato è che l'ammalato non capisce mai se stesso.
Gli astanti convengono che si tratti d'una brutta malattia, ma il giovane in questione si unisce al gruppo e, scherzando, afferma che Celionati parla per metafore: lui in realtà ha solo un problema agli occhi, a causa del quale egli trova ridicole le cose più serie. Per guarire gli occorrerebbe fare molto moto, ma come? In quella entra mastro Bescapé che saluta il giovane come “serenissimo principe” e allora a lui non resta che confessare: lui, il principe Cornelio Chiapperi, non può fare moto, dal momento che di spazio non ne ha, il suo regno è tutto racchiuso in un'area limitata.
Il principe si allontana e sul Corso incontra la principessa Brambilla, che gli offre il suo amore. Ma lui le rinfaccia l'infatuazione per l'attore Giglio Fava e lei gli rinfaccia la passione per la bella modista Giacinta Soardi. I due si lasciano infuriati.

8) Ma il principe non riesce a consolarsi e prende a percorrere il Corso disperato invocando la sua amata principessa, finché la gente non ride di lui e lei, la principessa Brambilla, commossa, non torna e quando lui le si sottomette baciandole la pantofola e lei accetta di perdonarlo. Immediatamente i due vengono avvolti da una nuvola di tulle, e quando questa si dissipa sono di nuovo a Palazzo Pistoia, nella sala dove Giglio aveva sentito la storia della principessa Mistilis. Ma ora la sala è ancor più sfarzosa e al centro siedono il mago Ruffiamonte e il principe Bastianello da Pistoia (che poi non è altri che Celionati stesso). I due leggono un testo mistico sull'Italia, sul carnevale che libera l'Io da sé stesso, sull'Io che si ritrova nei limpidi cieli italiani, nei quali ci si rispecchia nella fonte dell'amore. Quindi la sala si trasforma magicamente nel giardino di Urdar, i due maghi estraggono la bambolina che era la principessa Mistilis e nel vederla il principe e la principessa si svegliano dal loro torpore, si guardano nello specchio d'acqua e ridono, così come avevano fatto re Ofioch e la regina Liris prima di loro. E mentre così fanno la regina Mistilis torna in vita portando benefici a tutto il popolo.
Esattamente un anno dopo, verso mezzanotte, la vecchia Beatrice si affaccia alla finestra e dice che deve preparare casa per il ritorno dei padroni. I padroni sono Giacinta Soardi e Giglio Fava, che ormai sono sposati (tra di loro) e vivono in un appartamento non grande ma accogliente (e comunque migliore di quanto avessero mai avuto prima). Sono sposati già da un anno ma si comportano ancora come due sposini freschi di nozze, tutti attenzioni e tenerezze. Sono entrambi attori, ma attori comici: lui specializzato in ruoli da Brighella o da Truffaldino, mentre lei è una deliziosa Smeraldina. Da quando si sono specchiati nella fonte di Urdar la loro vita è cambiata e hanno spezzato l'incantesimo che teneva avvinta la principessa Mistilis (vale a dire la vera principessa Brambilla). Per farlo, spiegano Bastianello da Pistoia e mastro Bescapé, ospiti per cena dei due, occorreva una coppia di innamorati pieni di fantasia che avessero la capacità non solo di riconoscere l'umorismo, ma anche di trasportarlo nella vita reale attraverso il teatro, che è esso stesso una forma della fonte di Urdar. Era però necessario che si spogliassero dei loro abiti eroici per indossarne altri, costumi fatti d'ironia e umorismo. E così, anche se con parecchie difficoltà, è avvenuto. La storia si conclude con un allegro banchetto di cui, dice l'autore, solo Callot potrebbe fornire dettagli.

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venerdì, novembre 26, 2010

Citazioni


"I nomi non hanno niente a che fare col romanticismo... La storia d'amore più emozionante e tragica che conosca era tra un uomo di nome Silas Twingletoe e una donna di nome Kezia Birtwhistle."

“Che farebbero le donne se il mal di testa non fosse mai stato inventato? È il malanno più conveniente del mondo. Può venire all'improvviso e andarsene al momento opportuno. E nessuno può dimostrare che non ce l'abbiamo davvero.”

"Se riesci a sedere per mezz'ora in silenzio con qualcuno e sentirti 'abbastanza bene', tu e quella persona potrete essere amiche. Se no, non sarete mai amiche ed è inutile anche solo provarci."

Lucy Maud Montgomery

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martedì, novembre 23, 2010

Un amore immortale


LEI

di Henry Rider Haggard

Copertina di Giustina Porcelli


Una famiglia antichissima si tramanda d venti secoli un misterioso coccio sul quale l'antica principessa egizia Amenartas racconta ai suoi discendenti la sua storia d'amore col bellissimo Callicrate, interrotta tragicamente dall'incontro con una misteriosa regina dotata di straordinari poteri. Più di duemila anni dopo Leo Vincey, ultimo e affascinante discendente di quella famiglia, riceve il coccio e decide di partire per l'Africa a far chiarezza su quel mistero. Scoprirà un regno perduto, una regina bellissima e immortale e una storia d'amore che sfida il tempo e il destino. Ma Leo è davvero la reincarnazione dell'antico Callicrate? E l'inquietante e seducente regina Ayesha, che attende da duemila anni il suo ritorno nelle abbandonate catacombe di Kôr, è realmente la donna della sua vita? Una donna forte e potente, il mistero della vita, della morte e del tempo, e un amore più forte di tutto questo, in un libro che è un vero classico dell'avventura.
Lei è uno dei romanzi d'avventura più famosi di tutti i tempi: dalla sua prima pubblicazione, nel 1886, ha venduto oltre 83 milioni di copie in 44 lingue. Il suo autore, Henry Rider Haggard, è fra i più famosi scrittori del genere, ed è anche l'ideatore di Allan Quatermain, avventuriero ed esploratore precursore di personaggi come Indiana Jones.
Il romanzo è raccontato in prima persona da uno dei suoi protagonisti, Horace Holly, professore universitario e tutore legale di Leo, tanto brutto quanto Leo è bello, ma abbastanza intelligente e sensibile per comprendere ciò che a Leo, bello e innamorato, può sfuggire. Però indubbiamente il personaggio più forte è quello che dà nome al libro: Lei, Ayesha, Lei-cui-bisogna-ubbidire. Misteriosa regina di un regno abbandonato e di un popolo lugubre e inquietante, Ayesha conosce i segreti della natura e sembra aver sconfitto la morte. Bella e potente, affascinante e saggia, irresistibile e seducente, tremenda ma anche incredibilmente tenera nei suoi slanci d'amore, è l'incarnazione idealizzata della donna forte che ammalia ma anche spaventa (non per nulla viene anche citata nell'Interpretazione dei Sogni di Sigmund Freud). Il suo amore per il bel Callicrate è la molla che la spinge ad affrontare le potenze della natura e del tempo per superarle. E che coinvolge i personaggi del libro in un'avventura incredibile. Lei è il primo di una serie di quattro libri che vedono Ayesha protagonista. Gli altri tre sono Ayesha, Lei e Allan e Figlia della Saggezza.
Haggard l'ha immaginata come "una donna immortale ispirata da un amore immortale". Ha una forza simbolica straordinariamente incisiva, perché rappresenta i desideri ma anche le paure degli uomini (specialmente d'epoca vittoriana... ma non solo!) nei confronti delle donne. Ayesha è angelo e demone, è ostentatamente sexy, una vamp, una femme fatale capace di sedurre e far innamorare, ma il suo potere, la sua forza, ben lontane dall'ideale della donna debole e bisognosa di protezione di tanti romanzi e racconti, la rendono in un certo senso inquietante e anche molto moderna. È una donna splendida, autonoma e colta. Nessun uomo può resistere alla sua bellezza, ma soprattutto al suo intelletto e alla forza della sua volontà. Un sogno, ma anche un incubo per molti.
Secondo molti studi Ayesha incarna le paure e i desideri dell'uomo di fine Ottocento nei confronti delle donne istruite e forti dei primi movimenti femministi. Paure e desideri antichissimi e tuttora attuali, in realtà.
Però, per quanto strano possa sembrare, per idearla Haggard si è ispirato a... una bambola. Una bambola di pezza che da piccolo terrorizzava lui e i suoi fratellini e che la sua tata usava per minacciarlo e costringerlo a ubbidire.
Lei ha influenzato molto anche autori quali Rudyard Kipling, Henry Miller, Graham Greene e J.R.R. Tolkien, e ha avuto un forte impatto sulla narrativa fantasy in generale. Nel 1965 ne è stato tratto un film che vedeva la bellissima Ursula Andress nei panni della misteriosa Ayesha.

Per informazioni andate su WWW.ILGATTOELALUNA.IT

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martedì, marzo 09, 2010

Sondaggione libri 2010


Il Gatto e la Luna, in qualità di Editore Sfigato (o sfigatTo, visto il nome? mah?) e anche un po' per felina curiosità, chiede a tutti di partecipare al suo supersondaggione sui libri. Per Il Gatto e la Luna (IGELL da ora in poi), che esiste a causa della sua insana passione per i libri, è importante sapere quanto questa sua passione è condivisa in Italia, o se invece deve sentirsi solo e abbandonato in un mondo ostile (o giù di lì). Perciò vi chiede e supplica: rispondete, rispondete in tanti e numerosi. E diffondete, diffondete a tutti, lettori e non. Inviate poi le risposte a info@ilgattoelaluna.it usando come subject della mail SONDAGGIONE 2010. Questo per pura comodità, perché altrimenti se postate le risposte in luoghi irreperibili poi IGELL non può reperirle e quindi non sa che farsene. Il sondaggione ha il solo scopo di chiarire le idee di IGELL sul suo destino, non ha loschi fini pubblicitari/commerciali/spam/phishing/chipiùnehapiùnemetta e i mittenti non verranno divulgati a nessuno, varranno solo le risposte, dopodiché le mail verranno cancellate dai nostri eventuali database (e comunque IGELL non sa compilare database, per cui anche volendo...). Ringraziandovi in anticipo per l'eventuale collaborazione, do volentieri via al sondaggione.
In fede
Il Gatto e la Luna, Milano, li 8 marzo 2010

SONDAGGIONE 2010

1) Leggi libri?
a) sì, certo!
b) quando capita...
c) no, neanche dipinto/a!

---Per chi ha risposto c
a) come mai (a parole tue)?
b) non ti sembra mai che ti stia perdendo qualcosa?
c) ti imbarazza far sapere in giro che non leggi mai libri, non te ne importa niente o ne vai fiero/a?
d) perché?

---Per gli altri

2) Quanti libri leggi in un anno, grossomodo?
a) almeno 1
b) da 1 a 5
c) più di 5 ma meno di 20
d) più di 20
e) più di 20, almeno .......

3) I tuoi libri vengono da...
a) me li hanno regalati
b) in parte li ricevo in parte li compro
c) li ho comprati quasi tutti, le librerie sono negozi irresistibili per me

4) Che genere preferisci?
a) saggi
b) narrativa
c) poesia
d) manuali
e) umoristici
f) altro (specificare)...

5) Che genere proprio non ti interessa, e perché?
a) saggi
b) narrativa
c) poesia
d) manuali
e) umoristici
f) altro (specificare)...

6) Il tuo libro ideale parla di...

(riempire spazio a piacere)

7) Il più bel libro di tutti i tempi per te è...

(riempire spazio a piacere)

8) Il più brutto libro di tutti i tempi per te è...

(riempire spazio a piacere)

9) Cosa sono i libri per te?

(riempire spazio a piacere)

10) Il miglior autore di libri di tutti i tempi è...

(riempire spazio a piacere)

11) Il peggior autore di tutti i tempi è...

(riempire spazio a piacere)

12) Libri elettronici (ebooks) sì o no?
a) sì perché... (riempire spazio a piacere)
b) no perché... (riempire spazio a piacere)

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