giovedì, aprile 17, 2008

La Gatta Cenerentola

La Gatta Cenerentola
di Giambattista Basile
1632

Liberamente tradotto dal napoletano

Nel mare della malignità, l'invidia ottiene sempre ernia in cambio di vesciche, e dove crede di vedere gli altri affogare in mare, in realtà è lei stessa a essere sott'acqua oppure schiantata su uno scoglio: come per certe fanciulle invidiose di cui mi viene ora in mente di raccontarvi.
Dovete dunque sapere che c'era una volta un principe vedovo, il quale aveva una figlia che gli era tanto cara come la luce dei suoi occhi. Questa fanciulla aveva una maestra di ricamo che le insegnava le catenelle, il punto a giorno, gli orli e le frange, mostrandole un affetto senza pari. Ma il padre si era risposato da poco con una donna rabbiosa, malvagia e velenosa. Questa donna indiavolata cominciò a detestare la figliastra, e la guardava con certe facce e certi occhi torvi da farle paura. Tanto che la poverina si lamentava sempre con la maestra dei maltrattamenti della matrigna, e le diceva:
"Oh, Dio! E non potresti essere tu la mammina mia, che mi fai sempre tante moine e carezze?"
E tanto continuò con questa cantilena che la maestra una volta le infilò la pulce nell'orecchio e, accecata dal diavolo, le disse:
"Se fai come ti dico io, diventerò tua mamma e tu mi sarai cara come la luce dei miei occhi!"
Voleva continuare a parlare, ma Zezolla (così si chiamava la fanciulla) le disse:
"Scusa se t'interrompo, io so che mi vuoi bene perciò basta parlarne. Tu dimmi che devo fare, perché io sono ignorante. Tu scrivi e io firmo!"
"Orsù", disse la maestra, "Ascolta bene, apri le orecchie e in cambio ne avrai pane bianco come fiori. Quando tuo padre esce devi dire alla tua matrigna che vuoi uno di quei vestiti vecchi che stanno nel baule del ripostiglio, per risparmiare questo che porti addosso. Lei, che vorrebbe vederti vestita tutta di pezze e stracci, aprirà il baule e ti dirà: "mantieni il coperchio!" e tu, tenendolo mentre lei sta cercando dentro, lo lascerai cadere di colpo, e così si romperà il collo. Fatto questo, tu sai che tuo papà farebbe carte false per vederti contenta, e perciò gli farai tante moine e lo pregherai di prendermi per moglie, e poi sarai la padrona della mia vita."
Sentito ciò, Zezolla non vedeva l'ora che tutto si realizzasse. Fatto quello che le aveva suggerito la maestra, e passato il tempo di lutto per la disgrazia capitata alla matrigna, cominciò a pregare il padre affinché sposasse la maestra. All'inizio il principe non la prese sul serio, ma la figlia tanto disse e tanto fece che alla fine l'uomo si piegò alle parole di Zezolla e, sposatosi Carmosina, che era la maestra, fece gran festa.
Ora, mentre gli sposi stavano festeggiando, Zezolla si affacciò a un terrazzino di casa sua e vide una colomba, che le disse:
"Quando ti viene voglia di qualcosa, manda a chiamare la colomba delle fate dell'isola di Sardegna, e l'avrai subito!"
La nuova matrigna per i primi cinque o sei giorni riempì di attenzioni Zezolla, la faceva sedere al posto migliore a tavola, le dava i bocconi più squisiti e le regalava i vestiti più belli. Ma trascorso poco tempo mandò tutto a monte e, scordato il favore ricevuto (oh, triste l'anima che ha una cattiva padrona!), cominciò a mettere in mezzo le sue sei figlie, che aveva sempre tenute nascoste. E tanto fece col marito che questo si prese in grazia le figliastre e si dimenticò della sua. E un po' oggi, un po' domani, Zezolla si ridusse al punto che dalla sua camera passò in cucina, dal baldacchino al camino, dagli sfoggi di seta e oro agli strofinacci, dallo scettro allo spiedo. E non solo cambiò stato, ma anche nome, che da Zezolla diventò Gatta Cenerentola.
Accadde che il principe dovesse andare in Sardegna per sbrigare certi suoi affari e domandò una per una a Imperia, Colomba, Fiorella, Diamante, Colombina e Pascarella, che erano le sei figliastre, che cosa volevano che portasse loro al ritorno. Chi chiese vestiti da sfoggiare, chi accessori per i capelli, chi trucchi per la faccia, e chi giocattoli per passare il tempo. Per ultimo, quasi per scherno, il principe chiese alla figlia:
"E tu che vorresti?"
E lei:
"Nient'altro se non che mi raccomandi alla colomba delle fate dicendole di mandarmi qualcosa. E se te ne dimentichi non andrai più né avanti né indietro. Ricordatelo, sennò guai a te!"
Il principe partì, fece in Sardegna quel che doveva fare, comprò quello che le figliastre avevano chiesto, ma Zezolla gli passò di mente. Però una volta che si fu imbarcato sul vascello per tornare, la nave non riuscì a uscire dal porto come se vi fosse stata inchiodata. Il padrone del vascello, che era quasi disperato, per la stanchezza si mise a dormire e in sonno vide una fata, che gli disse:
"Sai perché la nave non può lasciare il porto? Perché il principe che viaggia con voi ha mancato alla promessa che ha fatto alla figlia, si è ricordato di tutti tranne che del sangue del suo sangue."
Il padrone della nave si svegliò e raccontò il sogno al principe e questo, dispiaciuto per la mancata promessa, andò alla grotta delle fate, raccomandò la figlia e disse di mandarle qualcosa.
Ed ecco che dalla grotta uscì una bellissima fanciulla la quale gli disse di ringraziare la figlia per la buona memoria e che le augurava di passarsela bene per amor suo. Così dicendo, gli diede una palma da datteri, una zappa, un secchiello d'oro e un asciugamani di seta, dicendo che il primo era da piantare e le altre cose servivano a curare la pianta.
Il principe, meravigliato per questi doni, si accomiatò dalla fata e tornò al suo paese. Una volta giunto diede alle figliastre quanto avevano chiesto e infine diede anche alla figlia i doni che le mandava la fata. Zezolla era tanto felice da non stare nella pelle, piantò la palma in un bel vaso, e poi cominciò a zappettarla, innaffiarla e asciugarla al mattino e alla sera con l'asciugamani di seta. Tanto che in quattro giorni la palma fu alta quanto una donna, e allora ne uscì una fata che le disse:
"Cosa desideri?"
Zezolla rispose che qualche volta le sarebbe piaciuto uscire di casa senza che le sorelle se ne accorgessero. La fata rispose:
"Tutte le volte che vuoi vieni al vaso e dici:
-Dattero mio dorato,
Con la zappetta d'oro t'ho zappato,
Con il secchiello d'oro t'ho innaffiato,
Col fazzoletto di seta t'ho asciugato,
Spoglia te e vesti me-
E quando vorrai spogliarti cambia l'ultimo verso e di': -spoglia me e vesti te-!"
Venne un giorno di festa. Le figlie della maestra uscirono, tutte vanitose, profumate e agghindate, tutte nastri, sonagli e fronzoli, tutte fiori e odori, e cose e rose. Zezolla corse al vaso e disse le parole che la fata le aveva insegnato, e subito si trovò abbigliata come una regina e, con un magnifico cavallo e dodici paggi lindi e pinti se ne andò dov'erano andate le sorelle. Queste non la riconobbero, ma si sentirono venire la bava alla bocca dall'invidia per la bellezza di quella fanciulla.
Il destino volle che in quello stesso posto ci fosse anche il re. Questo, nel vedere la straordinaria bellezza di Zezolla, ne rimase incantato e ordinò al suo servitore più fidato di informarsi su quella straordinaria creatura, chi fosse e dove abitava. Il servitore si mise subito a seguirla. Ma lei se ne accorse e lanciò in terra una manciata di monete d'oro che si era fatta dare dalla fata proprio per questa evenienza. Il servitore, acceso di brama, si gettò a raccogliere le monete e dimenticò di seguirla. Lei si infilò in casa e si spogliò come aveva detto la fata. Quando arrivarono le sorellastre, per mortificarla le raccontarono tutte le cose che avevano visto.
Intanto il servitore era tornato dal re e gli aveva raccontato la faccenda delle monete. Il re s'infuriò e disse che per quattro soldi s'era venduto il suo volere, e che in ogni caso alla prossima festa avrebbe dovuto scoprire dove andava quella bellissima fanciulla.
Venne un'altra festa. Le sorellastre uscirono tutte decorate ed eleganti e lasciarono la disprezzata Zezolla al focolare. Ma lei corse alla palma, disse le solite parole ed ecco che spuntarono mani di fanciulla che reggevano uno specchio, una caraffa d'acqua profumata, un ferro per arricciare i capelli, poi rossetto, spilli, vestito, collane e pendenti e, fattala bella come il sole, la fecero salire su una carrozza a sei cavalli con il cocchiere e i paggi in livrea. E, giunta nello stesso posto della prima festa, accese meraviglia nelle sorellastre e fuoco nel cuore del re.
Ma quando si allontanò e il servitore la seguì di nuovo, gettò in terra perle e gioielli e quell'uomo dabbene non poté non chinarsi per raccoglierle, che non era il caso di perdersele, così lei riuscì a ritornarsene a casa e a spogliarsi come al solito. Tutto sbalordito, il servitore tornò dal re, il quale disse:
"Per l'anima dei tuoi morti, se la prossima volta non me la trovi ti do tante bastonate e tanti calci nel sedere quanti peli hai nella barba!"
Ci fu un'altra festa. Uscite le sorrellastre, Zezolla tornò alla palma, cantò la canzone fatata e venne vestita superbamente, posta su una carrozza d'oro e con tanti servitori che pareva una cortigiana arrestata al pubblico passeggio e circondata di sbirri. Dopo aver fatto salire l'invidia delle sorellastre, se ne andò, seguita dal servitore del re che stavolta non la perdeva di vista. Lei, vedendo che l'aveva sempre alle calcagna, disse: "Più in fretta, cocchiere!", ed ecco che la carrozza si mise a correre con tanta furia che lei perse una scarpetta, così bella come non s'era mai vista.
Il servitore non riuscì a seguire la carrozza, tanto questa era veloce, così raccolse la scarpetta e la portò dal re raccontandogli cos'era accaduto. Il re disse:
"Se le fondamenta sono così belle, come sarà mai la casa? Oh, bel candeliere, che ha ospitato la candela che mi strugge! Oh, treppiede della bella caldaia, dove la mia vita bolle. Oh, bel sughero al quale è attaccato la lenza del mio amore, col quale hai pescato la mia anima! Ecco, vi abbraccio e vi stringo, e se non posso avere la pianta adorerò le radici, se non posso avere il capitello bacio la base. Siete stati ceppi di un bianco piedino e ora siete tagliola per un cuore addolorato. Grazie a voi chi tiranneggia la mia vita era più alta di un palmo e mezzo* e grazie a voi cresce altrettanto la dolcezza della mia vita, ora che vi guardo e vi possiedo!"
Così dicendo chiamò lo scrivano, i trombettieri e TU' TU' TU', lanciò un bando per invitare tutte le ragazze del paese a una festa e a un banchetto che aveva deciso di organizzare. E quando venne quel giorno, Oh, quale banchetto e quale fiera si fece! Da dove vennero tante pastiere e casatielli? Tanti stufati e polpette? Da dove vennero tanti maccheroni e ravioli? Tanti che un intero esercito non poteva mangiarli tutti? Venero tutte le donne, nobili e contadine, ricche e povere, vecchie e giovani, belle e brutte. Bel bello, il re fece un brindisi e poi cominciò a provare la scarpetta a tutte le invitate, una per una, per vedere a chi calzasse a pennello, tanto da poter riconoscere dalla forma della scarpetta colei che stava cercando. Ma non trovando piede a cui calzasse si disperò.
Nonostante ciò zittì tutti e disse:
"Tornate domani a fare penitenza con me. Ma se mi volete bene non lasciate nessuna donna a casa, e sia come sia!"
Allora il principe disse:
"Io ho una figlia, ma sta sempre a guardare il focolare perché è una creatura disgraziata, non è degna di sedere dove voi mangiate!"
Il re rispose:
"Lei sarà la prima della lista, questo fatto mi sta a cuore!"
Così tutti andarono a casa e tornarono il giorno dopo. Assieme alle figlie di Carmosina c'era anche Zezolla, e il re appena la vide capì subito che era lei quella che cercava, ma fece finta di niente. Finito di mangiare ci fu la prova della scarpetta, e appena si accostò a Zezolla fu la stessa scarpetta a lanciarsi verso quel piedino delizioso come un ferro è attirato dalla calamita. Visto questo, il re abbracciò Zezolla, la fece sedere sul trono, le mise la corona in testa e ordinò a tutti di inchinarsi a lei come alla loro regina. Le sorellastre, vedendo questo, piene d'invidia, non ebbero il coraggio di reggere tanto crepacuore e se la filarono tristi tristi a casa da mamma loro, alla quale confessarono, a malincuore, che
pazzo è chi contrasta le stelle!


*da qui si deduce che Cenerentola portava scarpe col tacco molto, molto alto!

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