Perché credo sia giusto sterilizzare i gatti
Quello che segue è un manualetto, compilato dai volontari gattari di Roma. Mi è stato inviato con la preghiera di diffondere il più possibile, e io lo faccio volentieri perché sono perfettamente d'accordo con loro.
Ila, umana di Jazz&Gigi
Sterilizzazione SI/ Sterilizzazione No
Con questo manualetto vorremmo far capire al pubblico cosa sia la sterilizzazione degli animali e perché sia talvolta necessaria specialmente a causa della diffusione del triste fenomeno del randagismo felino. L’argomento è scottante ed amplissimo, per cui dovremo suddividerlo in vari capitoli. Ma bisogna pur cominciare. Se per molti di voi, già convinti da tempo, potrà sembrare aria fritta, vi preghiamo tuttavia di voler far leggere queste pagine a tutti coloro che, o non hanno mai pensato al problema o sono contrari alla sterilizzazione per motivi “ideologici”.
Il problema più grave che tutti noi affrontiamo nella nostra opera in favore dei gatti randagi è, lo sappiamo tutti, la sterilizzazione. E non solo per quel che riguarda l’oggettiva difficoltà di cattura, trasporto dal veterinario, spese correlate, ecc. ma, soprattutto per la diffusa disinformazione in merito a questa pratica.
Mentre dobbiamo dire che in moltissimi Paesi, come la Gran Bretagna, la Germania, i Paesi Scandinavi, ecc., si tratta di qualcosa ormai accettato e scontato, qui da noi allignano ancora troppi pregiudizi in merito. Bisogna innanzitutto analizzare i motivi di questa avversione che, se spesso nasce da ignoranza, molto spesso – e più pericolosamente - è largamente diffusa anche tra persone che, per livello di studi, di lavoro e di cultura, dovrebbero averla superata.
E non dobbiamo dimenticare anche lo scarso aiuto che riceviamo dai media che, se sono dispostissimi a parlare del gatto randagio o abbandonato in chiave cronachistica e folklorica, sembra che non siano ancora disposti a sollevare l’argomento della limitazione delle nascite, anche da parte di chi ha serenamente accettato l’idea della limitazione delle nascite umane. Quale donna, nei nostri paesi, mette più al mondo i quindici figli che potrebbe avere comodamente "secondo natura”? Si direbbe che quello della sterilizzazione animale sia l’ultimo tabù sopravvissuto, dopo la caduta libera di tutti gli altri. Sappiamo le fatiche di Ercole che dobbiamo fare perché si nomini soltanto la parola “sterilizzazione” nel corso dei rari articoli genericamente dedicati ai gatti da quotidiani o periodici.
Sia ben chiaro che nessuno di noi vuole innalzare un peana in lode e gloria della sterilizzazione, di per se stessa. Ma in una società in cui non si riesce ancora ad aver cura di tutti i “piccoli” di uomo che vengono al mondo, ci sembra evidente che non sia ipotizzabile lasciare via libera ai venticinquemila (25.000) discendenti di cui una singola gatta, lasciata libera di procreare, può essere responsabile in soli cinque anni. Ci sembra quindi che la sterilizzazione in questo caso sia il minore dei mali, visto che su questo argomento non possiamo scegliere il meglio assoluto, ma cercare, e faticosamente, un meno peggio molto relativo.
Né possiamo accettare “di lasciar fare alla natura” come dicono molti pseudo-saccenti. Da diecimila anni, da quando il gatto è stato addomesticato dall’uomo, quest’animale non vive più “secondo natura”. I duecentomila gatti di Roma, per parlare solo di loro, dipendono, per la loro vita, da chi offre loro quel cibo che non possono procurarsi “cacciando”. Non stiamo parlando delle gazzelle nelle savane africane o dei puma sulle Montagne Rocciose, ma di un esercito di gatti condannato ormai a vivere in una giungla sì, ma di cemento. La classica proposta che spesso si sente fare: ”Mangino i topi, visto che a Roma ce ne sono tanti” non meriterebbe nemmeno una confutazione, se non fosse così largamente diffusa e accettata, sorte comune di tutte le idiozie. Dovremo perdere tempo ad occuparci anche di questo, purtroppo.
Ma la maggior parte della gente non si preoccupa più di tanto: ci sono le gattare, ci pensino loro. Salvo poi ostacolarle, emarginarle e disprezzarle, magari dopo avere abbandonato un gatto nella stessa colonia che non vorrebbero vedersi sotto casa.
Siamo profondamente convinti che nostro compito e scopo primario sia la riduzione del fenomeno del randagismo. Per quanto le ventimila gattare di Roma si prodighino al limite della consunzione e dell’esaurimento nervoso, economico e fisico, la vita dei gatti, eufemisticamente detti liberi, è, salvo rare eccezioni, la peggiore possibile, esposta a malattie, pericoli e disagi di ogni genere. E lo è anche la vita delle “gattare”. Nessuna di noi è felice perché, dopo una dura giornata di lavoro, deve uscire di casa ogni giorno dell’anno, con qualsiasi tempo, in salute o malattia, in ricchezza o povertà, per curare e cibare gli animali la cui sopravvivenza dipende soltanto dalla nostra sollecitudine.
Per quanto la nostra città possa essere orgogliosa dei suoi gatti, quegli stranieri, che sono ben lieti di vederli presidiare i nostri monumenti più illustri, sono spesso scandalizzati dallo stato di abbandono e spesso di malattia in cui versano, nonostante gli sforzi sovrumani di tante di noi.
L’obiettivo primario, da raggiungere nei prossimi cinque anni, è la riduzione della metà del numero dei randagi con conseguente disponibilità per essi del doppio delle attuali risorse. Un’utopia? Forse.
In talune contee inglesi, grazie alla sterilizzazione diffusa, vengono al mondo solo quei gattini che hanno già una casa pronta ad accoglierli. Cinquanta anni fa sarebbe sembrata un’utopia.
La legge, del resto, ha accolto questo problema. E’ possibile, ora, sterilizzare gratuitamente gli animali liberi e abbandonati presso alcuni ambulatori ASL in ottemperanza alla Legge Regionale 34/97 e speriamo che quanto prima questi organismi si attrezzino e ricevano sufficienti fondi per operare al meglio e più capillarmente sebbene sia difficile ipotizzare la catena di montaggio di veterinari necessaria per un intervento di sterilizzazione fattivo, generalizzato e risolutore. Non sono certo due sterilizzazioni gratuite al mese che possono risolvere il problema delle colonie feline. Per il resto dobbiamo ancora pensarci noi, pagando di tasca nostra, se vogliamo vedere qualche risultato.
Ed in ogni caso, come spesso accade in Italia, molte leggi illuminate precorrono di gran lunga il comune sentire, stratificato da secoli e rimasto immutato per incuria, pigrizia e disinformazione.
Per comodità riassumeremo le principali obiezioni e le opinioni totalmente errate che ci sentiamo rivolgere con monotona regolarità sull’argomento:
Bisogna lasciar fare alla natura…
Non abbiamo il diritto di privare gli animali del loro istinto sessuale…
La sterilizzazione è una crudeltà…
La sterilizzazione provoca delle malattie…
La sterilizzazione fa diventare i gatti obesi e stupidi…
La sterilizzazione porta all’estinzione della specie…
Abbiamo già premesso quanto sia difficile far accettare l’idea della sterilizzazione presso il grosso pubblico e ricordavamo come certi pregiudizi siano incredibilmente diffusi. Specialmente il pregiudizio generico che “bisogna lasciar fare alla natura” è quello che gode della maggior simpatia da parte di tanti incolti oltre che di tanti cosiddetti colti che lo ammantano di capziosi ragionamenti e di sofismi lasciati cadere con l’aria di chi ha da tempo risolto il problema, (o meglio, “il falso problema” , come lo chiamano loro)
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La pretesa selezione naturale che essi adducono a pretesto per ammantare la loro indifferenza e la loro aridità non è dovuta soltanto ad inevitabili malattie perinatali o infantili ma anche, se non soprattutto, all’intervento dell’uomo. Sono ancora in molti a ritenere perfettamente naturale eliminare in vari modi i piccoli appena nati ( secondo loro meno crudele che decidersi a sterilizzare la madre): i cassonetti in estate rigurgitano di sacchetti di plastica contenenti micini vivi da triturare come ingombranti rifiuti, tanto per descriverne solo uno. Le automobili che fanno strage quotidiana di gatti sono forse prodotti naturali che crescono sugli alberi?
E chi ha detto che non ci si debba opporre alle forze talvolta nemiche della natura? Non abbiamo inventato vaccini e medicine che debellano malattie endemiche che “controllavano” e “controllano” l’incremento di tante popolazioni? Non abbiamo costruito dighe che evitino inondazioni gigantesche in grado di “controllare” moltitudini al ritmo di milioni alla volta?
Ma con queste persone non si può ragionare. Non accettano un contraddittorio sereno perché in realtà il motivo della loro avversione e del fatto che si caccino in contraddizioni spaventose, è un altro, molto più viscerale e inconscio. E qui veniamo ad uno dei tanti noccioli del problema.
Non abbiamo il diritto di privare gli animali del loro istinto sessuale.
Dicono loro. Attenzione. Il problema si fa serio.
Messo l’argomento in questi termini, l’antisterilizzatore si sente dalla parte del giusto mentre persone come noi vengono immediatamente classificate tra gli Hitler, i Mengele e via raccapricciando.
Non si rendono conto, quelli che la pensano così, che stanno compiendo in buona o malafede, la cosa peggiore che si possa fare in questo campo: stanno confondendo i tavoli, i piani, le categorie. Stanno applicando criteri umani agli animali. Pur nelle notevoli somiglianze c’è tuttavia una differenza sostanziale tra animali e umani: ed è l’autocoscienza e la ragione. Dobbiamo assolutamente evitare l’antropomorfizzazione, ossia quel processo mentale che induce a prestare agli animali pensieri e sentimenti umani, con confusioni e pasticci che portano ad esiti disastrosi, pur nella sempre presunta bontà delle intenzioni.
Ti piacerebbe che lo facessero a te? E’ la domanda retorica che segue con la quale pensano di averti tramortito con la forza di un argomento inoppugnabile.
E qui bisogna cominciare a distinguere. L’istinto sessuale umano raramente si esprime (solo nei casi limite che occupano le cronache dei giornali) nella sua quintessenza più brutale. L’educazione fa si che l’istinto sessuale umano venga arginato, incanalato, sublimato, raffinato. L’atto sessuale presuppone pur sempre o quasi sempre un antefatto ed una scelta, in una parola un capriccio, o un innamoramento, o una passione. Questi capricci o queste passioni hanno ispirato in tutti i tempi ed in tutte le civiltà oceani di musica, biblioteche sterminate di letteratura e di poesia, interi musei di affreschi e quadri. Potremmo tranquillamente dire che l’unica musa responsabile della più gran parte delle opere d’arte umane, il motore di tante realizzazioni in ogni campo, è l’amore sublimato, in definitiva l’istinto sessuale. Inoltre l’amore è anche il necessario supporto di ogni famiglia umana per la procreazione e la protezione della prole.
Possiamo dire la stessa cosa per gli animali? A parte gli improbabili, pur sempre piacevoli, cartoni animati disneyani che spesso ci fanno veder due gatti guancia a guancia al chiaro di luna, non esiste innamoramento tra gli animali. Non esiste scelta. Pensate che la povera gatta assediata da una ventina di maschi possa davvero scegliere tra di loro? Dovrà subire, più o meno consenziente, le attenzioni di tutti. Credete davvero che un gatto in calore vada in giro cercando la sua anima gemella?
Quello che noi descriviamo come amore materno di una gatta e che talvolta può anche giungere all’eroismo nella difesa dei piccoli è solo puro istinto, l’istinto parentale che la natura da’ a tutti gli animali perché procedano al nutrimento ed alla protezione dei nuovi nati. Provate a separare una gatta dai suoi piccoli passati due mesi dalla loro nascita. Né la gatta né i gattini si riconosceranno come madre e figli se per caso dovessero ritrovarsi anche pochi giorni dopo la separazione. Terminato l’allattamento una gatta può immediatamente ritrovarsi incinta e ricominciare il ciclo riproduttivo senza porsi nessun problema rispetto alla prole precedente. Una volta insegnato ai piccoli a nutrirsi e a sopravvivere, la gatta ha fatto la parte a lei assegnata dalla natura e tanto basta.
Per taluni, soprattutto per i machos latini che abbondano nel nostro paese, e che se ne impipano di musica e poesia, la questione è molto più brutale” Io mi diverto molto facendo sesso e non voglio privare neanche gli animali di tanto divertimento”. Costoro non pensano che la natura ha escogitato la trappola del piacere proprio perché la ragione umana, lasciata a se stessa, sarebbe il principale deterrente alla procreazione. Chi metterebbe al mondo un figlio, con tutte le responsabilità, i doveri e gli oneri che ciò comporta se non vi fosse indotto dalla forza irresistibile dell’attrazione e del piacere sessuale? Se l’atto sessuale comportasse un fastidio o addirittura un dolore o fosse quantomeno una soddisfazione gradevole ma non poi così delirante, come il mangiare e il bere? Se vogliamo dimagrire riusciamo anche a mangiare di meno. Pensate che avrebbe successo una dieta dimagrante che imponesse l’astensione dal sesso?
Inoltre l’uomo è riuscito ad ingannare la natura ed ha trovato modo di sfogare il suo appetito sessuale evitando la riproduzione in mille modi. Questo agli animali non è consentito. Ogni atto sessuale determina inevitabilmente uno o più concepimenti.
Tenuto conto di tutte queste differenze, posso tranquillamente rispondere che non mi piacerebbe affatto che “lo facessero a me” semplicemente perché la sessualità umana, con tutti gli annessi e connessi, non è soltanto una questione di istinto e di ormoni ma coinvolge tutte le facoltà e le potenzialità umane, corpo, anima, coscienza ed intelligenza. Per assicurare la riproduzione animale è bastato inserire un istinto potente alla continuazione della specie senza bisogno di altri incentivi. Qualunque etologo può confermare che l’atto sessuale animale comporta sicuramente una soddisfazione ma non implica affatto delirio travolgente, estasi e piaceri supremi. (Ma questo capita talvolta anche a molti umani…).
Spiace dover infrangere illusioni romantiche, ma l’impulso che spinge un gatto a rincorrere una femmina con tutte le forze della sua volontà non è affatto dissimile da quello che spinge qualsiasi umano a ricercare imperiosamente un luogo ove soddisfare certi bisogni fisiologici come la minzione. Fin quando non l’ha trovato è inquieto e affannato. Dopo è passabilmente soddisfatto.
Chiunque abbia visto un gallo all’opera in un pollaio ha sicuramente avuto l’impressione di trovarsi di fronte ad un operaio molto concentrato che cerca di fare il suo lavoro presto e bene. Lui non sembra divertirsi e le galline nemmeno. Più o meno la stessa cosa avviene con i gatti. Il grido di dolore che emette la gatta alla fine dell’atto conferma, se ce ne fosse bisogno, che la cosa, almeno per lei, non comporta tutto quel piacere che ci si potrebbe aspettare…
Un gatto castrato non è un gatto infelice. Personalmente non ho mai visto un animale sterilizzato cadere in depressione o isolarsi “perché non potrà più essere padre” o “non potrà più conoscere l’amore”. E’ vero che gli animali non hanno la parola per esprimersi ma hanno un repertorio di atteggiamenti persino più eloquente della parola stessa. Sfido chiunque a definire infelice un gatto castrato che mangi e beva di gusto, dorma saporitamente, faccia le fusa in grembo al padrone, corra alacremente dietro a farfalle, topi e mosche e questo per almeno diciotto anni, tutti trascorsi generalmente in buona salute, grazie anche alla sterilizzazione stessa.
La castrazione del gatto maschio o l’ovaristerectomia della femmina, rimuovendo la ghiandola, la quale secerne l’ormone, che a sua volta determina l’istinto di riproduzione, elimina completamente la potenza sessuale senza peraltro lasciare nessun desiderio insoddisfatto che possa determinare una frustrazione e addirittura senza nemmeno lasciare la memoria stessa del desiderio.
Al contrario, sono coloro che tengono in casa un gatto non sterilizzato senza permettergli l’accoppiamento, e ce ne sono tanti, a commettere un’inaudita crudeltà, lasciando intatto nell’animale il desiderio ma negandogli ogni possibilità di soddisfazione.
Insomma, per riassumere con una battuta: Un vero uomo fa sterilizzare il suo gatto. Un macho, no.
Ma c’è ancora molto da dire. Purtroppo.
Nei due capitoli precedenti abbiamo passato in rassegna alcune delle obiezioni nei confronti della sterilizzazione dei gatti da parte di persone disinformate. Come ci insegna l’esperienza, molti disinformati, una volta presa coscienza del problema, si convincono delle nostre ragioni. I problemi gravi vengono da parte di coloro che sono informati male, e che hanno accumulato una serie di pregiudizi che è difficile smantellare, visto che talvolta sono persino condivisi da alcuni veterinari un po’ attardati.
E’ difficilissimo convincere che non è affatto necessario che una gatta abbia avuto almeno una cucciolata prima di procedere alla sua sterilizzazione. Eppure è una delle favole o leggende metropolitane tra le più universalmente diffuse. Non basta nemmeno mostrare la documentazione medica delle più progredite facoltà di veterinaria del mondo per persuadere le persone che hanno respirato questa frottola sin dall’infanzia. Possiamo garantire che una simile scemenza non è scritta da nessuna parte in nessun testo medico. Eppure è ancora accreditata persino presso tanti vecchi veterinari, e per vecchi non intendo solo in senso anagrafico.
Ancor più difficile è smantellare la vecchia credenza che un gatto castrato diventi grasso, pigro e stupido. E’ chiaro che un gatto che non deve sprecare energie all ricerca della femmina ed alla lotta con i suoi rivali tende ad ingrassare se deve condurre una vita più sedentaria: basterà quindi dargli un po’ meno cibo perché mantenga la linea, ammesso che qualcuno preferisca una gatto smunto e scheletrico (come capita a certi maschi in servizio attivo) ad uno tondo e grassottello.
Il gatto è pigro per natura, e lo è anche il maschione di cui sopra, negli intervalli di tregua. Perché dobbiamo per forza trovare qualcosa da fare ad un animale che è la quintessenza della placidità e della contemplazione? Del resto, basta fargli vedere qualcosa in movimento per risvegliare immediatamente lo scatto fulmineo tipico di questi animali. Altro che pigrizia!
Quanto poi all’accusa di stupidaggine del castrato, è evidente che un gatto in preda all’istinto sessuale è posseduto da una frenesia ed iperattività che vengono erroneamente scambiate per “intelligenza”.
Mettete un gatto castrato ed uno intero di fronte ad un problema da risolvere - e che abbiano interesse a risolvere - come l’apertura della porta di un frigorifero o la via più breve per salire o scendere da un albero e giudicate la loro rispettiva intelligenza dal tempo che impiegano e dalle strategie che usano per risolvere il problema. Potreste avere delle sorprese.
C’è un’infinità di false credenze sui gatti che circolano indisturbate perché, almeno nel nostro paese così poco incline alla lettura, nessuno, nemmeno le persone più scolarizzate si prendono la briga di leggere uno dei tanti libri sull’argomento che ingialliscono malinconicamente sugli scaffali delle librerie. Che bisogno c’è di documentarsi sui gatti? Tutti sono convinti di saperne più che abbastanza sin dalla nascita.
Vediamo tante espressioni spiazzate quando cerchiamo di spiegare che un gatto non deve affatto essere necessariamente affamato per prendere un topo. Al contrario, essendo la caccia per il gatto soprattutto uno sport, e solo secondariamente una fonte di cibo, come qualsiasi sportivo che voglia ottenere un buon record, il gatto deve essere in forma e ben nutrito per raggiungere il suo scopo.
Una povera bestia affamata nove volte su dieci mancherà la preda, per mancanza di forza, di lucidità e di concentrazione.
Molti poi sono erroneamente convinti che la sterilizzazione porti delle malattie. E’ ESATTAMENTE IL CONTRARIO. I gatti sterilizzati vivono più a lungo e più sani.
Nel caso della femmina, il fatto di non essere costretta a figliare almeno tre volte l’anno comporta un enorme risparmio di energie a tutto vantaggio della salute e della longevità.
Ma, sostiene qualcuno, la mia gatta vive in casa e non la faccio accoppiare. Semplice, vero?
Sappiano costoro che lasciare che la gatta vada in calore regolarmente, senza concedere alla natura la sua soddisfazione, comporta il continuo scatenamento di tempeste ormoniche responsabili della maggior parte dei tumori alle mammelle ed all’utero che affliggono il 70% delle gatte non sterilizzate e costrette all’astinenza senza essere state sterilizzate. Peggio ancora se si interviene con pillole od iniezioni che rappresentano il più sicuro biglietto d’acquisto della maggior parte dei tumori che si registrano nelle femmine. Senza contare la crudeltà atroce di lasciare un povero animale in balia dei suoi istinti negandogli qualsiasi sfogo o soddisfazione! Quante testimonianze di povere gatte inacidite, astiose, cattivelle e rinsecchite, proprio come zitelle umane, perché i loro padroni le lasciano andare in amore ogni quindici giorni senza aver pietà di loro. E poi parlano delle crudeltà della sterilizzazione!
Per quanto riguarda il maschio, il discorso è altrettanto, se non più urgente.
Circa quindici anni fa è stato individuato il virus della FIV (Feline Immunodeficiency Virus) che è una deficienza immunitaria tipica della specie felina ed affine alla sua controparte umana ovvero l’AIDS. E’ ovviamente una malattia mortale che colpisce circa il 30% dei gatti liberi vaganti per le strade. Prima di procedere oltre dobbiamo sgombrare tutti i timori infondati che possono assalire a questa notizia.
La FIV è contagiosa solo per i gatti, non per altre specie animali o per gli umani.
Lo sostiene la scienza di tutte le facoltà di veterinaria dell’universo conosciuto ed esplorato e l’esperienza di tutte le gattare del mondo, le quali pur essendo a contatto quotidiano con gatti FIV possono morire di tutto, anche di povertà e di frustrazione, ma sicuramente non di AIDS, a meno che non abbiano comportamenti a rischio assolutamente non correlati con i gatti.
E’ stato accertato che tale malattia si contrae con il contatto contemporaneo di sangue e saliva infetti e che ne sono colpiti soprattutto i maschi. Perché? Più che evidente. Come avviene lo scambio di sangue e saliva infetti? Con un morso profondo. E chi si scambia morsi profondi? In genere i maschi che lottano per la conquista della femmina. Ecco perché la castrazione elimina o quanto meno riduce il rischio di diffusione di una tale malattia.
Quanto segue è il resoconto della nostra personale esperienza come curatrici di colonie: il 99% dei gatti maschi interi che arrivano in colonia, abbandonati che siano o per altri motivi, una volta testati risultano positivi alla FIV. E talvolta sono bei gattoni robusti, apparentemente sani.
Lasciare il proprio maschio intero libero di andare girovagando comporta gravissimi rischi di vederselo tornare a casa infettato. Non esistono a tutt’oggi né cura, né vaccini. Una volta conclamata la malattia, la morte segue a distanza di poco tempo.
E nemmeno le femmine sono immuni perché uno dei comportamenti rituali durante l’accoppiamento comporta un morso del maschio sulla nuca della femmina per immobilizzarla ( a riprova di quanto la gatta ne farebbe a meno, se potesse). Se il morso è abbastanza profondo ecco che anche la femmina e la sua prole sono state contagiate.
E infine, ecco la scemenza più piramidale: la sterilizzazione porterà alla estinzione della specie.
Quanto la specie sia in via di estinzione, nonostante gli sforzi estremi di pochi responsabili, ben lo sanno le gattare, vale a dire quelle persone, appartenenti a tutte le categorie sociali, dotate mediamente più degli altri di sensibilità e generosità, che spendono la loro a vita a cercare di proteggere e far sopravvivere le povere bestie abbandonate. Quando si pensa che solo a Roma esistono all’incirca 180.000 gatti randagi, di cui sterilizzati si e no il 20%, si può immaginare quanto sia ipotizzabile una scomparsa della specie felina sulla faccia della terra.
Quando si pensa che, sebbene da settanta anni almeno, in Inghilterra ed in genere nei Paesi Nordici si sterilizzi e si lavori strenuamente per la riduzione del randagismo tuttavia esiste ancora (tranne in quelle poche isole felici cui già accennavamo) sia il fenomeno del randagismo che quello dell’abbandono, nonostante le condizioni ambientali siano più sfavorevoli di quelle mediterranee alla sopravvivenza degli animali in libertà.
Quando si pensa alle condizioni e al numero dei gatti “liberi” in Turchia, in Grecia, in Spagna, nel Nord Africa, al cui confronto l’Italia è un vero e proprio paradiso, ci si rende conto di quanto sia sciocco temere che di gatti non ne nascano più, e di quanto invece, alla luce delle condizioni subumane o subfeline in cui vivono in quei paesi, sarebbe auspicabile che ne nascessero molti di meno, se non niente affatto.
Il bello è che a temere questa scomparsa sono, per la maggior parte, persone che non si danno poi alcun pensiero rispetto al fatto che la maggior parte di queste bestie ha una qualità di vita inaccettabile. Persone che magari vedono ogni sera una gattara portare loro cibo e medicine, senza che essi stessi alzino un dito. E’ tanto bello, fa tanto folklore vedere la classica vecchietta affaccendata con i gatti. (quando non la si insulta o non la si minaccia – prova strabiliante di tolleranza!)) “A me i gatti a Roma piacciono tanto” mi disse un giorno una dama infiocchettata, che non avrebbe toccato un gatto randagio nemmeno con la punta di un dito, sconcertata perché le avevo parlato di sterilizzazione.
Senza contare che ammesso che tra dieci millenni si potesse ipotizzare la scomparsa dei gatti dalla faccia della terra, basterebbe mettere al lavoro poche coppie per ripopolare in meno di cinque anni almeno dieci metropoli.
Ed infine, se tutta questa chiacchierata vi sembrasse oziosa, perché il problema del randagismo vi sembra assolutamente irrilevante rispetto a tanti altri più pregnanti ed urgenti, basterebbe a confutare quest’opinione il fatto che questo problema non riguarda solo i gatti, ma anche, se non soprattutto, le persone che se occupano. E queste persone sono insospettabilmente numerose. I gatti di Roma ( e del mondo, se è per questo) sopravvivono grazie ad un esercito di gattare e gattari di ogni condizione sociale e di ogni età. Pochi tra loro sono quelli che possono affrontare la spesa che comporta il rifornire di cibo sufficiente una colonia spesso di una trentina di gatti, la sterilizzazione degli stessi e le varie cure veterinarie. La maggior parte di esse sono persone che vivono di magro stipendio o ancor più magra pensione.
Quello che accomuna tutti, ricchi o poveri, è la costante preoccupazione per la sorte dei propri gatti, oltre al disprezzo malcelato o ostentato dei vicini di casa, o degli astanti prodigato nei loro confronti mentre si dedicano al loro volontariato. Le minacce al loro indirizzo o a quello dei gatti sono all’ordine del giorno e molte volte non sono solo retoriche. Molte volte si passa a via di fatto con percosse e ingiurie nei confronti della gattara o con spargimento di veleno nei confronti dei gatti. Sono cose all’ordine del giorno e non c’è modo di difendersi.
Chi ha scelto questo impegno vive costantemente in uno stato d’animo esulcerato. Per quanto pulisca e ripulisca le zone là dove ha “sporcato” distribuendo il cibo alle bestiole e spesso, per buona misura, anche lì dove non lo ha fatto, l’epiteto di sporcacciona/e è il minimo che si senta rivolgere (non si riesce a capire quale tremenda intolleranza animi certe persone alla vista dei gatti, ma soprattutto di chi li nutre).
E quando trova la colonia sterminata sia con veleno o con sistemi ancora più spicci si sente assolutamente impotente. Le denunce, necessariamente contro ignoti, perché i bruti, pur sospettati e conosciuti, non si lasciano certo cogliere in flagrante, lasciano il tempo che trovano. Il massimo che possano sperare è un atteggiamento simpatetico da parte di alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine che abbiano qualche sentimento nei confronti degli animali, ma molto spesso nemmeno questo. I sarcasmi e le impazienze, di polizia e carabinieri, pur tanto solleciti in altri campi, si sprecano. Spesso questi tutori della legge ignorano addirittura l’esistenza delle leggi sulla protezione degli animali. Non gliene facciamo una colpa. Speriamo soltanto che certe lacune possano essere colmate in un futuro non troppo remoto.
Insomma, c’è ancora un immenso cammino da percorrere sulla strada della civiltà e la diffusione di un atteggiamento pietoso, umano e compassionevole nei confronti degli animali non è che uno dei tanti passi da compiere in questo difficile e accidentato percorso.
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